King Crimson
Lizard
I King Crimson rappresentano un fenomeno musicale e artistico difficilmente inquadrabile: innanzitutto perché, lungi dallessere un gruppo nel senso corrente del termine, rappresentano piuttosto una costellazione di formazioni estremamente varie ma tutte ruotanti attorno al perno del chitarrista Robert Fripp. E allora, viene naturale chiedersi, esistono davvero i King Crimson? O quella del Re Cremisi è forse solo una maschera, un vetro sottile ma straniante dietro cui si nascondono le ambizioni e le velleità artistiche del solo Fripp? La risposta non è banale, considerando che il suddetto chitarrista ha sempre sentito la necessità di riesumare il nome ormai mitologico del Re, anche dopo lunghi periodi di silenzio e inattività.
Quello che è evidente è che in tutti i lavori dei King Crimson troviamo un qualcosa che li rende immediatamente riconoscibili, malgrado le continue evoluzioni verso generi e sonorità anche distantissimi tra loro. Il Re Cremisi è più volte ritornato da un presunto aldilà, vestendosi ogni volta di tessuti diversi, circondato da nuovi alfieri ma sempre nascondendo dietro la maschera lurlo pietrificato delluomo schizoide.
Con Lizard la metamorfosi è evidente: dopo lepocale esordio, In The Wake Of Poseidon aveva, se non imitato, perlomeno seguito la strada già tracciata. Lalbum della lucertola si spinge invece molto più in là nella sperimentazione e nella contaminazione tra generi: Fripp si circonda di una schiera di jazzisti (su tutti il pianista Keith Tippett, già presente nel disco precedente) e accosta allormai classico mellotron una poderosa e versatile sezione di fiati. Definire rock un simile organico sarebbe, se non ingeneroso, quanto meno riduttivo.
I primi tre pezzi ci catapultano in un mondo di forti contrasti, dove momenti squisitamente melodici si alternano a grotteschi vortici di suoni e voci deformate, uno scenario circense e dadaista sottolineato dalle filastrocche sottilmente inquietanti di Sinfield (Happy Family tratta metaforicamente dello scioglimento dei Beatles): Cirkus è forse il pezzo più incisivo, con la voce di Haskell adagiata sui volteggi di piano elettrico, gli inserimenti di flauto e chitarra classica, e un suggestivo solo di Mel Collins al sax su un tappeto di mellotron, mentre Happy Family indugia su sonorità e improvvisazioni tipicamente jazz e Indoor Games si presenta con una intro dal sapore zappiano.
Arriva Lady Of The Dancing Water, e la dolcezza della melodia dà sollievo ai nostri sensi violentati dalle tracce precedenti: il pezzo è dominato dal flauto di Collins, che nel finale dialoga magnificamente con il trombone di Nick Evans. Ma è solo il preludio alla lunga suite che dà il nome allalbum.
Lizard è il brano più lungo mai scritto dai King Crimson, con una durata di circa 23 minuti (la stessa, per inciso, delle tre suite pinkfloydiane): volendo azzardare un confronto con le quasi contemporanee creazioni di Waters e soci, Lizard è sicuramente più vicina al rock sinfonico di Atom Heart Mother, anche se lesperimento di Fripp raggiunge superiori livelli di complessità e contaminazione. E anche più pretenziosa di qualunque cosa finora scritta dai Crimson: in 23 minuti si affacciano straordinarie invenzioni melodiche, sonorità e passaggi tipicamente crimsoniani, incubi cacofonici e forme classiche che sfumano nel free jazz.
Se la prima parte del disco pare farsi colonna sonora di un incubo moderno, con la suite ci sembra di immergerci in una favola dal sapore medievale: nella prima parte (Prince Rupert Awakes), con la voce di Jon Anderson sugli scudi, potremmo tranquillamente essere di fronte ai Genesis di Gabriel. La possibilità di ingannarsi dura poco, però, in quanto lepico corale sfocia in un Bolero dal sapore inequivocabilmente classico: sopra il ritmo marziale del rullante si susseguono gli interventi solistici dei fiati. Questa parte della suite ci regala momenti di straordinaria intensità melodica e timbrica: lingresso evocativo della cornetta, quello dolcissimo delloboe e poi il corno inglese che apre la strada ad un inaspettato quanto geniale inserimento jazz di sax, tromba e trombone. La ripresa del tema da parte delloboe e il crescendo sembrano indurre ad una maestosa conclusione: e invece ecco che in lontananza fa capolino il misterioso corno inglese. E il rassegnato preludio allimminente battaglia, che infatti si scatena con improvvisa violenza tra ondate di mellotron e inesorabili colpi di percussione, vortici di flauto e cannonate di sax e trombone. Linterminabile cacofonia lascia poi spazio al Lamento del Principe: la Battaglia delle Lacrime di Vetro è finita, e la chitarra di Fripp ormai sola sul campo lancia grida lancinanti al cielo plumbeo.
Lo spettacolo è finito: Big Top (il tendone del circo) si fa grottesca parentesi conclusiva di un viaggio pazzesco e indimenticabile. Questo sogno del Re Cremisi ci ha messi alla prova, ma ci ha regalato momenti di straordinaria intensità; il prossimo ci porterà per mare, sulle ali dei gabbiani, e di certo non potrà deluderci.
Tweet