V Video

R Recensione

8/10

Crippled Black Phoenix

(Mankind) The Crafty Ape

Chapter I – A Thread

Una voce robotica, innaturale, annuncia l’apertura delle danze. Il primo squarcio, possente riff di chitarra dalla tetragona presenza doom e ottoni in assetto belligerante, scompiglia le carte in tavola – quasi rivisitando, più di trent’anni dopo, la maideniana “The Ides Of March”, si potrebbe dire – e risucchia ogni molecola d’ossigeno dall’aria, costringendo a concentrarsi sul magniloquente scenario in corso di preparazione. Le campane suonano a festa, poi tacciono. Tempo una manciata di secondi ed il buio cala, fatalmente, per l’ennesima volta. Difficile orientarsi, tra sottilissime linee di drone e riverberi corali in lontananza. Nella completa assenza di dinamismo, un arpeggio. Anzi, l’arpeggio. Poi ne segue un altro, un altro ancora, un’intera frase melodica. La raccolta sospensione acustica comincia lentamente a crescere, portata in palmo di mano, sino al crescendo conclusivo in cui Karl Demata distacca le note per isolazionismo e fa rivivere, in tutta la sua imponenza, il David Gilmour di “Wish You Were Here”. Infine, la voce, quella di sempre, quella di Joe Volk, sballottato tra accenni di elettrica, slide di semitoni, crepuscolari lande pianistiche, solida ed onirica psichedelia senza fretta e senza convulsioni.

Del dubbio esistenziale che coglie l’appassionato della prima ora. Può una breve ma già estremamente prolifica vita musicale decidere di sciogliere le gomene, gettare le ancore – ché pur sempre di endtime ballads marinare, o di ciò che ne rimane, si sta parlando – ed anteporre, per una volta almeno, un narcisismo conservatore allo sprezzante progressismo vero marchio di fabbrica di questi otto, intensissimi anni, fra sesquipedali tour ed impressionanti geometrie di studio? Potrebbe. Quando, però, in ballo vi sono i Crippled Black Phoenix o, meglio, il nuovo gruppo riplasmato dall’originario progetto ideato dalle allora colonne portanti Dominic Aitchison e Justin Greaves, riuscire a rimanere neutrali è impresa più improba del previsto. Lo straniamento perdura perché, lungi dal bruciare e rinascere daccapo dalle proprie ceneri, per la prima volta “(Mankind) The Crafty Ape” non aggiunge nulla a tutto ciò che già sapevamo: sterzata verso suoni meno struggenti, più roccia nelle sei corde, spettacolari contrasti tra apparato elettrico e archi di contorno, il disperato slancio titanico di un’epica morale d’altri tempi, finanche il formato del doppio disco. Una fase che si chiude per sempre o un diverso tentativo di organizzare la rotta dell’imbarcazione?

I dubbi possono essere comprensibili. Molto concisamente, tuttavia, è “Get Down And Live With It” a fornire la miglior controbattuta a chi si sente in dovere di sostenere un calo fisiologico del gruppo, arrivato al quinto full length in appena sei anni. Non tanto la prima parte, pure molto apprezzabile, dove la ritmica beccheggia, le chitarre graffiano con piglio settantiano e l’incrocio vocale riporta alla mente i Black Mountain dei tempi migliori: è la seconda a rinnovare il miracolo degli equilibri, di una formula che non ha eguali nel mondo (evidenziatelo bene in grande: nel mondo!), con un violoncello mozzafiato ad inserirsi, tormentoso, nell’impasto melodico, un pianoforte quasi neoclassico che attira su di sé pazzeschi riverberi ossianici ed uno spegnersi progressivo, trionfale, eroico. Nulla, d’ora in avanti, può andare sbagliato, e i lievi cedimenti strutturali del singolo “A Letter Concerning Dogheads” – aperti dal dark ambient in manipolazione di “(In The Yonder Marsh)” –, che all’inizio pare quasi assomigliare ad un numero (hard) rock antico stampo, vengono interamente riscattati, anche in questo caso, nella seconda metà, con un incubo in slow-motion avvolto attorno ad una sola, battente nota (trucchetto assimilato dalla vecchia, meravigliosa “Whissendine”) ed una matassa psichedelica sfumata su dissonanze e cadenze ieratiche.

Chapter II – The Trap

Dalla conferma all’innovazione. Come in "I, Vigilante", la copertina parla chiaro: homo homini lupus. La trappola scatta, tagliente ed affilata, sui possenti muscoli di “Laying Traps”, un post-grunge dal respiro combattivo sul quale levita la maledizione dell’albatros di Coleridge e le risacche salmastre si rapprendono sulle corde vocali di Volk, mai così lontano e così vicino, rilanciato da un micidiale lavoro percussionistico – Greaves a briglia sciolta, in un delirio di tamburi e piatti, come a scandire gli infaticabili colpi dei rematori – e da improvvise chiusure “scorciate”, con accenni western e sublimi schianti pianistici. Anche “Release The Clowns” scende sul campo di battaglia con una lucente armatura sostenuta da un riff pressoché invariabile, un’andatura soldatesca priva di qualsiasi crepa ed una coda finale dove Demata, munito di bottleneck e dei vinili degli Zeppelin, si scatena con un assolo blues che più traditional non si può. La vera sorpresa di questo frammento d’opera è, in realtà, “Born In A Hurricane”, episodio dove l’anima dei Crippled Black Phoenix sperimentali e pronti ad scommettere il tutto per tutto riemerge dagli abissi dell’oceano, con una nenia riarrangiata in una scoppiettante chiave funk, per chitarre acide, tempi dispari ed interstizi di fiati. “(What?)” è decisamente la parola che rimane sulla punta della lingua, interstizio strumentale che conduce, con un rustico ponte di banjo e sincopato rotolare di spazzole, alle epopee del secondo disco.

Chapter III – The Blues Of Man

Il senso di perfetta circolarità nel passaggio tra un supporto e l’altro è la conferma, se non altro parziale, dell’ambiziosa e coerente linea di pensiero sposata dal gruppo, nel corso degli anni e delle varie tappe discografiche. Incidere con forza l’animo umano per estrarne il midollo, cantare di sofferenze inenarrabili, giocare con ogni tipo di registro stilistico ed esaltare le incantevoli profondità dell’emozione – la componente più intrepida ed leggendaria, se non altro –: ecco il perché della terza sottotitolazione, “The Blues Of Man”. A kind of blue, un’oncia di tristezza, l’ombra del fallimento e l’inevitabile risurrezione. Uomini che si vestono di mito ma che, aldilà delle loro imprese personali, rimangono uomini, con tutte le loro fragilità, debolezze, insicurezze, depressioni. E sentirne a tal punto il peso sulle proprie spalle, non è forse anch’esso un segno tangibile di grandezza di pensiero? Questa è, filosofia spicciola a parte, la realtà fattuale. Né più né meno.

Quando “A Suggestion (Not A Very Nice One)” e il suo pericolante barcollare esplodono a tutto tondo dal confuso marasma iniziale, alternando momenti di pacificata stasi ad altri di crudo assalto in wah-wah e lick in pentatonica, la sensazione che se ne ricava è impressionante: formalmente nulla di più di un sentito omaggio ai padri del Delta (ed una genuflessione a chi ne ha elettrificato a dovere il verbo…), contenutisticamente uno stato di coscienza ai limiti dell’hard rock dove la voce va e viene, la chitarra va e viene, la batteria, quella lì, c’è sempre: lo spirito delle endtime ballads è tracimato in qualcosa di nuovo e vecchio allo stesso tempo, in formati non più propri e nemmeno del tutto ignoti. Delirio? Affatto. La scaletta è lì a confermarcelo. “(Dig, Bury, Deny)”, altra pausa acustica e retaggio di americana pigra, indolente, un po’ minacciosa, è il tassello mancante per arrivare ad “Operation Mincemeat”, lenta sfilata post rock che infilza tutti i migliori numeri dei Crippled Black Phoenix del periodo “Night Raider” – “The Resurrectionists”, condensandoli in sette minuti di piacere, tango appassionati tra archi e pianoforte, elaborati arrangiamenti orchestrali e morbide carezze vocali. E che il gran colpo stia finalmente per arrivare lo si percepisce, quasi inconsciamente, ma con una sicurezza interiore tanto intuitiva quanto infallibile.

Invocato, il capolavoro giunge. “We Will Never Get Out This World Alive” è retaggio di una Constellation mai dimenticata, grappoli di sentimenti affidati ad una sequenza di tasti bianchi e neri e, sul fondo, ad una chitarra che dipinge drone estatici. È il preludio perfetto a “Faced With Complete Failure, Utter Defiance Is The Only Response”, quindici minuti di musica pesante non pesante, ardente doom balcanico trasfigurato da astrali parate bandistiche, la pausa, paziente ricostruzione via slide di un universo ormai dato per perso, i Mogwai e i Pink Floyd, “Troublemaker”  ed organetti stroboscopici, passo elefantiaco con battiti ansanti della sezione ritmica e ringhioso vocoder in coda, boato decostruttivo che si inghiotte l’intera strumentazione, il silenzio. Due minuti di silenzio, nessuna ghost track. Il messaggio, terminale, che ormai il punto di non ritorno è stato raggiunto, ed ulteriori passi in avanti risulteranno per questo impossibili?

Se così davvero fosse, lode e gloria ai Crippled Black Phoenix.

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igizu 7/10
alemex 9/10
mutter 9/10
motek 7,5/10
andy capp 2,5/10
REBBY 5/10
luca.r 6/10

C Commenti

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fabfabfab alle 10:25 del 24 gennaio 2012 ha scritto:

Qundo arrivano i CBP Marco si scatena. Per ora ho sentito solo i tre pezzi qua sopra, ma come al solito questi fanno spavento. Hanno inventiva costante, rinnovando ogni volta un genere che sembrava morto e sepolto (che poi - ormai - che genere è?). Primo ascolto obbligatorio del 2012.

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 10:51 del 24 gennaio 2012 ha scritto:

Sto già godendo!

Caspita questa uscita proprio non me l'aspettavo, a così poco tempo dal mio disco preferito in assoluto degli ultimi 5 anni almeno (I Vigilante). Non avranno inventato nulla, ma che classe 'sti qua. Un gruppo che mi ha stordito e che è diventata una vera e propria droga (naturalmente da assumersi senza moderazione alcuna dato che la dipendenza che dà è pura estasi..). Un ringraziamento al grande Marco per questa squisita anteprima. Già ordinato a scatola chiusa!

skyreader (ha votato 8 questo disco) alle 11:35 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Per fortuna esistono Storie così...

Con i Crippled siamo sempre in pieno territorio rock Floydiano dei Seventies con riferimenti ad "Animals" evidentissimi (qualsiasi altro riferimento ai PF va ricercato nella lisergica geografia di "Ummagumma" e non altrove): ma loro sono una forza della natura che solo dal vivo si può pienamente apprezzare... la produzione (a cura del leader Justin Greaves, Karl Demata ed Ewan Davies) stavolta ha dato degli esiti mai raggiunti prima, riuscendo a liberare le lunghe composizioni da qualsiasi senso di claustriofobia e facendo suonare cristalline, esaltandone la dinamica, le loro lunghe composizioni. Nessuna innovazione, ma un disco da apprezzare più di pancia che di cervello. Disco senza cali emotivi ma con alcune sequenze assolutamente mozzafiato: vedi il trittico finale. Impossibile dire che si ama il rock, e non apprezzare un disco così. In "The Brain / Poznan" si concretizza un altro momento assoluto con il piano, nel finale, a tratteggiare la melodia del "Bolero". Su "Release The Clowns" mi pare di sentirci la voce di Brian Molko... Nonostante nelle prove in studio che hanno preceduto questo opus, i CBP abbiano già ampiamente dato prova della loro arte "retro-guard", è con questo Mankind - The Crafty Ape" che rasentano la perfezione. Complimenti a Marco per la sua dovuta e attenta recensione.

Lasciamo pure credere a chi "in quel di Lana", pensa di cogliere, il senso della Storia della Musica del nostro tempo... Tanto sarà sempre il tempo a decidere, prima di qualsiasi recensore.

target (ha votato 6 questo disco) alle 11:48 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Mah, non capisco il riferimento a Lana del Rey e ai discorsi che si stanno facendo di là in questo spazio: parliamone là, no?, se abbiamo qualcosa da dire. E sia detto da uno che ha amato i CBP sin da "A love of shared disasters" e che li ha visti live due volte (per quel che possa c'entrare - credo poco). Non può un recensore cercare di capire il suo tempo, scrivendo di qualche opera che lo rappresenta? Non è, tutto sommato, il suo vero ruolo? Doppio mah. Quanto a questo disco, ammetto che, per ora, è quello dei Crippled che meno mi convince, proprio per la sua vena troppo generosa di rock classico (e non ho dubbi che buona parte di questo slittamento sia da attribuire alla mano di Demata).

skyreader (ha votato 8 questo disco) alle 12:35 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

RE:

- Primo “mah”: innanzitutto questo è il disco di cui voglio parlare, perché mi ha sopraffatto ben oltre i suoi limiti (il più grosso il riferimento al “rock” di “Animals”). Di Lana del Rey, non mi sento proprio di contribuire neppure nello sviscerare un valore intrinseco. Esiste musica di marketing ed esiste musica che risponde ad altre logiche. Ora se è vero che per entrambe il fine è vendere, mi pare sussista una certa differenza nel creare tormentoni e brani che non si fermano al secondo ritornello. Nel mio commento volevo parlare di rock, confrontandolo cona modalità completamente altra di attribuire valore alla musica. Però questo disco pone un interrogativo che ognuno personalmente può porsi: “ma si può OGGI ancora amare il rock”? Così, il rock come “classicamente” l’abbiamo imparato a conoscere? Questo interrogativo mi pare pertinente qui, con i Crippled.

- Secondo “mah”: ovviamente il recensore ha come scopo guardare il proprio tempo, ma allo stesso tempo deve gettare uno sguardo “di prospettiva”. Esprimento il proprio sentire e la propria conoscenza, può indovinare o può sbagliare. L'importante è delineare come alcune logiche di determinati personaggi odierni, moderni & di tendenza, rispondano in realtà a modalità veramente desuete, vecchie di decenni e che già ampiamente conosciamo. Molto più vecchie dei riferimenti sonori dei Crippled, che all'epoca erano talmente avanguardia da conservare tale sapore anche oggi. Scrivere, come fatto di un disco attuale come quello dei Coldplay, evidenziano i dubbi su come questi siano arrivati a proporre un disco del genere, mi pare ben altra cosa: tutti scriviamo di dischi DEL PRESENTE, ma facendo lo sforzo di darne una valutazione oltre quanto ci riconosciamo in essi. Ok, l’oggettività non può umanamente esistere, ma si può compensare la parziale assenza di questa con altri strumenti di misura. Converrai che su certi episodi della Storia della Musica (quella con la “esse” e con la “emme” maiuscola), solo il tornarci sopra dopo un lungo lasso temporale (bastano 5 anni), ha permesso di capire la validità di certe valutazioni. Su ciò, non c’è nulla da fare, bisogna solo attendere…

Al momento non posso fare altro che gioire per una “storia” come quella dei Crippled, che mi sa far amare un disco più di pancia che di testa.

Marco_Biasio, autore, alle 12:14 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Grazie a Stefano per i complimenti. Questo non è il mio preferito dei CBP (che rimane "Night Raider") ma si difende alla grande. Per Francesco: appena ho sentito per bene la coda del primo disco (quella con "Born In A Hurricane" e "Release The Clowns", per capirci) ero sicuro non ti sarebbe piaciuto come gli altri. Ormai i CBP di Aitchison, come scrivo nella recensione, sono diventati altro, e credo che questo slittamento verso il rock classico e la psichedelia floydiana si farà sempre più marcato col passare dei dischi. Ma poi magari mi sbaglio.

target (ha votato 6 questo disco) alle 12:21 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Sì, di fatto la loro progressione verso questi lidi è stata costante (e un po' condiziona la progressione all'inverso delle mie preferenze: in voti, "A Love of shared disasters" 9, "Night raider/The resurrectionists" 8, "I, vigilante" 7, questo - mi sa - 6). Comunque, per fortuna nei loro dischi resta sempre spazio per un po' di tutto. "Get down and live with it", davvero bellissima, ricollega le loro primissime cose (la coda) a certi fraseggi quasi da indie rock canadese stile Sunset Rubdown (la prima parte).

Filippo Maradei alle 12:54 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Ma io ti pongo un altro interrogativo, Stefano: qual'è il rock classico? E soprattutto, perché dev'essere per forza più importante o culturalmente valido del pop decadente di Lana del Rey? Per me esistono più Storie e più Musiche, tutte egualmente interessanti e apprezzabili: a ciascuno le sue, non credi?

skyreader (ha votato 8 questo disco) alle 13:18 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

RE:

A chi lo dici! Certamente esistono Storie e Storie: guarda che io, musicalmente parlando, sono un ammasso di storie alcune neppure concilianti fra loro. Solo una cosa: un ascoltatore può ascoltare ciò che vuole e comprare cosa più l’aggrada ed esprimersi come vuole su ciò che ha scelto di seguire. Chi “scrive” deve attenersi ad una prospettiva differente, anche se non necessariamente deve prescindere da ciò che gli piace. Altrimenti come ti porresti con i tanti che pensano che il ritorno dei Litfiba sia un disco da otto pieno e che il voto espresso su SdM sia inaccettabile? Non credo dia un caso che quella recensione sia invece stata pubblicata: anzi il bravissimo recensore Fabio Codias con il suo racconto ha colto meglio che con mille altre parole, le logiche e le mentalità, che hanno portato a partorire un disco siffatto. Non mi dirai che è solo un caso se per “Grande Nazione” sia stata scelta quella recensione?? Infine, scusa ma sempre messo il termine “classico”, qui come altrove, VIRGOLETTATO, proprio perché una modalità diventa classica solo in prospettiva ad altro e solo quando il tempo è passato. Quindi “classico” in questo caso, quello dei Crippled, è il rock di “Animals”, quello di “Ummagumma”, che all’epoca “classico” non lo era affatto. Questo ha fatto storia (è lecito dirlo?), il pop “di mercato” farà anche un tipo di altra storia. Se un artista ha valore solo in base a quanto vende e in base a quanti lo conoscono, allora è meglio che ci rimbocchiamo le maniche per parlare per delle tante Britney Spears sparse per il pianeta.

loson alle 18:38 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

RE: RE: è meglio che ci rimbocchiamo le maniche per parlare per delle tante Britney Spears sparse per il pianeta.

Provvederò al più presto. P.S. Lo "spessore" di un brano musicale, sia esso pop o rock o free jazz, non è un valore intrinseco: per come la vedo io, le opere sono contenitori di segni che noi, cercando di interpretare, riempiamo di significato (così io posso trovare significato tanto in Erik Satie quanto in LDR o nei Pink Floyd). Credo fermamente in quello che ho scritto a proposito di Lana Del Rey, altrimenti non l'avrei scritto. Non pretendo di riassunmere chissà quale senso nella storia della musica, soltanto analizzare - coi miei scarsi mezzi - un disco, un'artista e, in questo caso, un fenomeno mediatico (parlare di popular music - e, nello specifico, di mainstream - cercando di sconnettersi dalle logiche di mercato è impossibile). Questo sono io, punto. Non pretendo di universalizzare una benemerita ceppa. Non volevo riaprire l'OT, ma essendo stato tirato in ballo personalmente mi è sembrato giusto fare un paio di precisazioni. Chiusa qui, per quanto mi riguarda. Lasciamo giustamente lo spazio agli estimatori di Marco (bravissimo come sempre) e dei CBP (che non mi hanno mai atto impazzire, ma va bene così).

skyreader (ha votato 8 questo disco) alle 13:47 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Date italiane dei CBP...

Appena rese note: 04/04 BOLOGNA – Locomotiv, 05/04 – MILAN – Magnolia. Chi può non li perda: dal vivo sono incredibili... sono il "classico" gruppo "non c'é trucco, non c'é inganno". Suono & sudore.

target (ha votato 6 questo disco) alle 13:57 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Guarda, in tutti questi tuoi commenti continuo a trovare solo un ingiustificato senso di superiorità. E proprio perché "sarà il tempo a decidere", non capisco la spocchiosetta disinvoltura con cui ritieni che "in quel di Lana" il senso della "Storia della Musica" non ci possa passare. Chiuso, ché l'off topic è già oltre i limiti.

skyreader (ha votato 8 questo disco) alle 14:08 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

RE:

Mi dispiace per te che non vedi che è solo un cercarsi di attenersi ad un "discorso coerente". Se non hai neppure la bontà di leggere le mie argomentazioni, il discorso lo chiudi tu, non io. Io sono invece aperto a alla tematica e volevo solo come ti poni nei confronti di dischi "maltrattati" come quelli dei Coldplay o dei Litfiba, che a rigor di logica potrebbero avere una loro valenza...

target (ha votato 6 questo disco) alle 14:14 del 30 gennaio 2012 ha scritto:

Il discorso, mi sembrava evidente, non lo chiudo tout court, ma lo chiudo qua, perché non è il luogo adatto. Sarò contento di proseguirlo altrove.

Metanoia70 alle 10:49 del primo febbraio 2012 ha scritto:

Francamente, sostenere che tutta la musica prodotta abbia ugual valore o perché dipende esclusivamente dai gusti dell’ascoltatore o perché è il mercato economico a stabilire il valore di un prodotto, a me sembra francamente banale. Sottomettere il valore di un prodotto musicale ESCLUSIVAMENTE al gusto dell’ascoltatore significa fare ‘violenza’ a un opera che il è pur sempre il prodotto creativo di un artista; significa non rispettare né che cosa lui ha cercato di comunicare né rispettare come lui ha voluto farlo. Attenzione, rispettare non significa automaticamente e necessariamente aderire (condividere) acriticamente all’opera di qualcun altro, semplicemente significa riconoscerla come frutto di un’attività creativa di qualcun altro che non sono io che l’ascolto. Pertanto, quando ci si trova dinanzi a un’opera musicale (ma lo stesso vale se leggiamo un romanzo o vediamo un film), prim’ancora di giudicarla valida o non valida in base esclusivamente all’effetto che provoca in me, la cosa importante è di valutare la qualità del suo valore intrinseco, cioè della sua capacità di riconnettersi a un filone particolare (è ingenuo pensare che un’opera nasca dal niente, così come è ingenuo pensare che il nostro parlare sia privo di presupposti, non fosse altro che usiamo tutti una lingua particolare che ci troviamo ad usare senza averla creata) e di saperlo esprimere o in modo standardizzato o in modo originale, dove cioè emerge l’apporto personale dell’autore.

Venendo all’ultimo lavoro dei Crippled: l’etichetta di opera classica io non la intendo minimamente come un difetto, perché per me dice chiaramente la sua matrice musicale di provenienza, il rock degli anni ‘ 70, senza però limitarsi a ripetere in modo stantio cose già ascoltate. Piuttosto, radicandosi in quelle sonorità seventies, “(mankind)…” non suona affatto come un prodotto ‘vecchio’, ma riattualizza in modo originale certe timbriche e sonorità, contamindaole con altri generi e sonorità. Si tratta di un classico sorprendentemente giovane e, per certi versi, originale. In particolare, per la sua struttura di concept-album sfida qualsiasi logica puramente commerciale, non strizza affatto l’occhiolino a certi motivetti modaioli che possono ammaliare ma che sono privi della ben che minima ispirazione, in una parola non rimesta nel genere musicale dell’intrattenimento. Poi, per carità, passando alla reazione dell’ascoltatore, può colpire o no, ma siamo su un altro livello.

Se non si distinguono questi due livelli, allora è proprio inutile anche stare a fare recensioni musicali, visto che a contare sarebbe unicamente il gusto personale, ma a quel punto mi si dovrebbe spiegare se si possa davvero affermare che sì, è possibile mettere sullo stesso piano un “romanzo” della collana Armony e, che so, i Promessi Sposi di Manzoni. Davvero non è possibile stabilire nessun metro valutativo ‘oggettivo’ di un’opera? Con tutta la simpatia che si possa avere per una Lana Del Rey o per una Britney Spears, non penso che la loro musica possa essere messa sullo stesso piano di quella dei Radiohead. Sì, relativamente a quel genere specifico, uno può dare un 8 o un 7 a un disco di Lana Del Rey, ma sapendo bene che si sta parlando un settore specifico, senza avere la pretesa di eleggerlo tra i dischi migliori di tutto il genere rock di una data annata (il che, francamente, mi parrebbe un pochino eccessivo). In sintesi, credo che la classica distinzione tra buona e cattiva musica, tra musica di ascolto (Crippled) e musica di intrattenimento (Lana Del Rey) abbia ancora oggi un senso e spero che storiadellamusica.it continui a farsene promotore.

loson alle 12:05 del primo febbraio 2012 ha scritto:

RE:

Scusate se riapro l'OT per la seconda e ultima volta. A mio parere l'ascolto (meglio: la fruizione di un'opera) e l'analisi della stessa costituiscono assieme una fase altamente creativa, una fase di ricostruzione/decostruzione dei significanti dell'opera stessa: in quest'ottica, la volontà dell'artista non è che una traccia, una linea guida che può anche essere fuorviante allorchè ci si renda conto della sua incompatibilità (o semplice "alterità") rispetto alla nostra ricostruzione. L'opera viene creata dall'artista, certamente, ma una volta completata vive di vita propria, si pone come entità autonoma, non solo come strumento attraverso cui mettere in comunicazione due soggetti (artista e fruitore) ma anche, più semplicemente, come individualità da esplorare, simulacro i cui dati oggettivi si riducono, appunto, a evidenze incontestabili e fattuali, e dove il resto viene, volente o nolente, viene riplasmato dal soggetto. Trovo che questo aspetto - il ruolo attivo del fruitore - sia terribilmente trascurato, per non dire sostanzialmente ignorato, da chi pretende di avere dell'arte una visione classista o elitaristica. Non si tratta di "fare violenza" all'opera: primo perchè l'opera stessa per me presenta caratteri di malleabilità (o liquidità, se preferisci) per cui è essa stessa a prespporre/ richiedere una manipolazione ulteriore da parte di chi guarda/ascolta/legge; secondo, perchè sono comunque incline a considerare l'attività di fruizione come un'analisi informata, per quanto possibile documentata, cosciente (e per questo ti esorto a dare una letta alla recensione di Born To Die o ad altri miei scritti nei quali ho cercato, con tutti i miei limiti, di condurre analisi per quanto possibile non superficiali). L'artista non è dio, non ha il controllo supremo sul proprio lavoro; spesso, addirittura, è l'artista stesso a non avere chiaro il percorso che lo conduce alla creazione di un'opera, costringendolo ad elaborare successivamente, a bocce ferme, un significato da attribuire al suo iter creativo. Una lettura come "Futuri Impensabili" di Brian Eno è estremamente stimolante, da questo punto di vista.

Filippo Maradei alle 14:59 del primo febbraio 2012 ha scritto:

L'artista è poco o nulla, lo spettatore è tutto, è l'opera stessa; l'ascoltatore, nel nostro caso, è autore stesso del ciddì: se quindi non esistono persone e gusti più giusti di altri, non esistono album più giusti di altri (di validi e meno validi ce ne sono, ma tutti nascono sullo stesso piano). E l'ho imparato col tempo proprio qui su SdM grazie a Matteo, alle sue Britney Spears, e a tanti altri.

Utente non più registrato alle 14:20 del 13 settembre 2017 ha scritto:

Brevemente. La tesi spesso sostenuta su questo sito, che la musica e/o altro linguaggio artistico sia sullo stesso livello, mi trova profondamente in disaccordo.

Chissà se anche artisti qui amati/odiati come Bowie e la Marrone sono da considerarsi sullo stesso piano...chissà...

Per me, difficilmente si può trovare lo stesso livello all'interno della produzione di un artista (nel senso più ampio), all'interno di un medesimo genere o tra generi diversi.

Ma (spero d'aver frainteso) che “l'artista è poco o nulla, lo spettatore è tutto, è l'opera stessa; l'ascoltatore è l'autore stesso del cd” mi lascia a dir poco perplesso.

Però sono contento d'aver appreso che ho composto della grande musica (ma anche pessima), anche se a mia insaputa...

Magari può capitare che al fruitore di un'opera in campo visuale sia richiesto un ruolo più attivo, ma nella creazione proprio no.

Non esisterebbero neanche gli ascoltatori senza l'Artista, come non esisterebbero lettori, librerie, musei e quant'altro...

Vero invece che “non esistono gusti più giusti di altri”...

loson alle 20:29 del primo febbraio 2012 ha scritto:

Grazie davvero, Filippo. Le mie considerazioni sono frutto di anni - specie gli ultimi 7/8 - di confronti, amicizie, letture e ascolti. SdM e RYM sono stati luoghi preferenziali, in questo senso: pieni di amici e "colleghi" da cui ancora non smetto di imparare. Ho assorbito molto, mi sono rimesso in discussione, ho riconquistato la prospettiva a me più congeniale nel valutare i fenomeni artistici. Da questo punto di vista, non sono stati anni sprecati. Ok, chiusa la parentesi strappalacrime. XD

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 12:50 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Gruppo decisamente sopra la media

e che con questo album si riconferma come una delle band più importanti in circolazione. Veramente io ho poco da dire: suonato divinamente, melodico senza essere ruffiano, produzione stellare e continue sorprese ad ogni canzone che potrebbero, tutte, essere inni generazionali per quel che dicono e come lo dicono. Apprezzo molto la marcata svolta (hard)rock, che già si era intravista nel precedente, sublime, I Vigilante, ma che, in realtà ha sempre fatto capolino anche nei precedenti lavori..un ascolto per me gratificante sotto ogni punto di vista che racchiude quanto di meglio mi piace sentire quando ascolto musica. Per me, questo disco, ma un po' tutte le loro opere, sono delle vere e proprie enciclopedie del rock anni duemila e passa! Grandi CBP! Non vedo l'ora di godermeli dal vivo!

Utente non più registrato alle 19:13 del 11 aprile 2012 ha scritto:

Si confermano una delle band più interessanti del momento ma, personalmente, ho preferito di gran lunga I Vigilante (ultimo brano escluso). Buono Chapter I, Chapter II mi ha lasciato un pò perplesso. Chapter III: We Will Never... mi pare vicino a certo post-rock che non arriva da nessuna parte, mentre la pur buona Faced With Complete... viene tirata un pò per le lunghe.

condor1972 alle 12:58 del 14 aprile 2012 ha scritto:

che droga per l'udito!

Aspettavo da tempo un gruppo che dimostrasse che il progressive rock non è morto. Abituato a mangiare pane e pink floyd le aspettative sono sempre state deludenti, forse qualche barlume me l'hanno dato i Camel, I Gong e di recente i Porcupine. Adesso tocca ai CBP che a parer mio hanno un potenziale enorme, forse ancora acerbi considerando gli album precedenti ... ma The Crafty Ape ritengo sia un'opera rock

impressionante per intesità e portata. Un concept album che fa tesoro delle sonorità floydiane riproponendo spesso melodie affini ma prive di troppi virtuosismi compositivi; concentrati perlopiù sulla solennità dei loro brani, sulla genuina freschezza di un prog-rock che sembrava perduto nel tempo. E ora riaffiora con un grande e maestoso spirito dirompente. grazie Crippled Black Phoenix

Utente non più registrato alle 0:10 del 17 aprile 2012 ha scritto:

RE: che droga per l'udito!

condor se non l'hai già fatto prova ad "assaporare" gli Hypnos 69...

Metanoia70 alle 9:51 del 17 aprile 2012 ha scritto:

RE: RE: che droga per l'udito!

I belgi Hypnos 69 sono (sarebbe meglio dire, erano; pare infatti si siano sciolti) un grande gruppo. Su tutti consiglio, in sequenza, l'ascolto di "The electric measure" (2006) e "Legacy" (2010)

condor1972 alle 10:23 del 17 aprile 2012 ha scritto:

RE: RE: che droga per l'udito!

non sono affatto male questi hypnos 69, approfondirò ... nel frattempo se non li conoscete, parlando sempre di gruppi recenti, consiglio gli Echolyn ottima band di neo progressive a parer mio il loro migliore album "Suffocating the Bloom"

Utente non più registrato alle 10:45 del 17 aprile 2012 ha scritto:

RE: RE: RE: che droga per l'udito!

grandissimi gli echolyn, ma a mio parere il migliore è as the world

Utente non più registrato alle 11:45 del 17 aprile 2012 ha scritto:

RE: RE: RE: che droga per l'udito!

condor, permettimi di consigliarti, qualora non li conoscessi (rimanendo entro "certi territori" per non allargare troppo il discorso...) i Diagonal, gli Hidria Spacefolk, i Vulgar Unicorn che nello stesso anno di as the world degli Echolyn registrarono under the umbrella (il chitarrista è l'attuale leader dei Pineapple Thief) e i Dead Man (tornato disponibile l'ottimo euphoria). Buon ascolto

condor1972 alle 13:15 del 17 aprile 2012 ha scritto:

RE: RE: RE: che droga per l'udito!

grazie ascolterò...a proposito dei Pineapple Thief grande album: Tightly Unwound!... un altro ottimo gruppo (inizialmente cover band dei Pink Floyd) gli Rpwl album consigliati:

The Gentle Art Of Music Revisited e Experience

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 15:06 del 17 aprile 2012 ha scritto:

Eccolollà! Il solito (VDGG) che cerca sempre nuovi adepti! Condor, sta attento che anche VDGG (e non solo i VDGG) crea dipendenza (e, mi raccomando, non cominciare a parlare di jazz, sennò è finita)! eh eh comunque avete citato ottimi gruppi che conosco grazie proprio alla competenza/conoscenza infinita di VDGG. Tuttavia, parere personale, i CBP stanno una spanna sopra..hanno un'abilità tutta loro di rivisitare la scena prog-rock dei settanta, senza apparire nostalgici e/o troppo derivativi. E, anche quando sembrano abbeverarsi a piene mani dal repertorio pinkfloydiano p.es., lo fanno con una personalità tale da mantenere completamente intatto il loro, ormai riconoscibilissimo e splendido, trademark musicale..Quando un gruppo (e sono veramente pochi attualmente) arriva a "forgiare" un genere a sè stante, che riesce ad identificarlo a prescindere in mezzo al marasma musicale che ci sommerge, per me è arrivato! I CBP sono arrivati. Adesso ci sarà che suona "come" i CBP. E scusate se è poco!

Utente non più registrato alle 22:00 del 17 aprile 2012 ha scritto:

RE:

??????????!!!!!!!!!!

condor1972 alle 10:47 del 18 aprile 2012 ha scritto:

Swansong hai perfettamente ragione, dovremmo dilungarci meno a parlare di altri gruppi anche perchè il forum è incentrato sui CBP e in particolare su questo meraviglioso album che mi è davvero difficile togliere dal lettore... I CBP, concordo, sono decisamente una sorpresa rispetto a molti altri gruppi di cui abbiamo anche parlato, perchè sono riusciti a riproporre e allo stesso tempo a reinventare un genere, quale il prog, (post rock ..come vogliamo chiamarlo ora) facendone un loro marchio di fabbrica, riconoscibilissimi nel marasma musicale attuale; sono convinto che prendere spunto dai i Pink Floyd (che hanno fatto scuola) sia più che nobile e soprattutto riuscire nell'intento di "ricordarli" ma non troppo... sia decisamente un'aspetto importante e impegnativo per una band, chi riesce in questo intento senza apparire datato e troppo rievocativo è un grande gruppo. Sono convinto che i CBP debbano ancora sfornare il loro capolavoro, l'album che confermerà il loro talento e soprattutto la loro definitiva maturazione. Quel giorno potremo finalmente dire che qualche altro gruppo imita il sound dei CBP!

condor1972 alle 11:12 del 18 aprile 2012 ha scritto:

dimenticavo, altro grande gruppo che ha influenzato non poco i CBP, come è scritto anche nella recensione, sono i Mogwai. Difatti il batterista, se non sbaglio, ha suonato anche con loro nel primo album... in alcune loro suite si sente decisamente la spinta e la progressione sonora tipica dei mogwai.

Utente non più registrato alle 13:41 del 18 aprile 2012 ha scritto:

Chiedo venia per aver allargato il discorso...vado ad ascoltarmi altro...

Metanoia70 alle 21:56 del 11 giugno 2012 ha scritto:

Tratto dalla loro pagina ufficiale di FACEBOOK.

http://www.facebook.com/pages/CRIPPLED-BLACK-PHOENIX-official/111441865546099

"Looks like it's time for new songs to be recorded. Studio in late July/early August... Planning an October release (hopefully). This next product will take the form of a shorter mini-album.. but y'know how it goes, CBP "short" is not that short. ... Also, this recording will feature as yet unknown vocals... OOOOooooOOHHH...etc.."