R Recensione

8/10

Father Murphy

...and He Told us to Turn to the Sun

Nuovo disco dei Father Murphy, una delle colonne portanti del Madcap Collective, collettivo veneto molto attivo, che esporta alcuni artisti del suo roster anche all’estero.

Gruppo caratterizzato da una continua evoluzione stilistica che in questo disco raggiunge una nuova vetta. Già catalogarlo in un genere risulta difficile, è pop ma terribilmente storto ed imprevedibile, senza avere la supponenza di un lavoro arty.

...and He told us to turn to the sun è un disco essenziale e scheletrico, non ci sono suoni superflui o parti inutili, ma risulta epico e a tratti solenne nella scelta degli intarsi vocali e strumentali. Si possono sentire tante influenze diverse derivate probabilmente dagli ascolti del gruppo, ma queste influenze non sono semplici citazioni sparse, bensì rielaborazioni personali, che permettono ad ogni ascoltatore di riconoscere qualcosa di diverso del proprio background musicale. Ci sono la psichedelia sixties, qualcosa del grunge, un’atmosfera gotica dai suoni dilatati, accompagnata da una iconografia religiosa con cori ed organetto chiesastici in certi punti.

È un vero disco e non una raccolta di canzoni, infatti la sequenza di queste crea un unico corpo, dall’impatto maggiore della somma delle parti. L’intensità viene mantenuta costante, con qualche esplosione di suono ad aumentare la tensione.

Poche note prolungate per la chitarra e l’organetto, mentre la batteria si occupa dello sfondo ambientale, non sostegno ritmico, ma strumento solista, insieme ad un campionario di altri suoni che arricchiscono di particolari il panorama rappresentato.

Appena finito l’ascolto vorrete risentire quelle note scarne di chitarra, che come nella migliore tradizione pop entrano subito in testa.

Si inizia con We were colonists voce acuta, pieni e vuoti, nei pieni la batteria si fa consistente. Si ritorna agli spazi dilatati di I sob, no more rage con voce sussurrata sottotraccia della chitarra, poi Go sinister con la chitarra marziale e ripetuta. Per continuare con gli stop and go di Ran out of fuel and a viper just bite me che ritorna a dilatarsi nella coda.

La filastrocca So now you have choose between my two (black) lungs ipnotizza col suo incedere da marcetta. Never forget you have a choice è un intermezzo che introduce all’incantatrice Hide yourself in the woods che ha in sé l’idea del folk silvestre, però suonato avant-garde. At the time I guess we misunderstood chiesastica e piena di rumori di fondo, mentre la chitarra marcia in attesa dello scoppio della batteria e delle urla, poi si chiude con le voci all’elio “we are evol! / are we evol?”.

Si arriva al capolinea con In their graves che inizia come i primi Pink Floyd mentre vengono rotti oggetti sullo sfondo, per poi lasciarsi andare a droni d’organetto finchè non arriva un cantato assorto, si sale un po’ d’intensità per poi andare a dissolversi tra colpi di batteria e tastiera, la conclusione è affidata ad una coda/ghost-track molto eterea.

Un disco che colpisce al primo ascolto, ma che ad ogni ulteriore ascolto riserva nuove sorprese, un lavoro godibile e prezioso da diversi punti di vista e che sarà apprezzato da ascoltatori che possiedono sensibilità e gusti musicali molto differenti.

Finalmente qualcosa di nuovo, che elabora con assoluta personalità esperienze e lezioni del passato appropriandosene con abilità, gusto e intelligente ironia.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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Slisko 6/10

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