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R Recensione

7,5/10

John Zorn

The Gnostic Preludes

Per i suoi cinquant’anni, nel settembre del 2003, John Zorn aveva deciso, giustamente, di autocelebrarsi. Facendolo, peraltro, nel migliore dei modi: un mese no stop di serate al Tonic di New York, sipario prescelto per l’incarnazione e la mostruosa animazione di un’incalcolabile quantità di creature sonore autografe, sfolgoranti sfaccettature di un diamante in perpetua rotazione, inafferrabile, instancabile. Di quell’inestricabile magma restano, sotto Tzadik, dodici imperdibili live album. Un’altra decade, nel frattempo, sta velocemente passando, e l’anno prossimo il sassofonista americano si appresterà a spegnere sessanta candeline. Le persone noiose staranno già pensando ad un’altra, monstre, autocompiaciuta sfilata di progetti, bombardamento di musica in tutte le salse e per ogni direzione. Inutile dire, invece, che lo Zorn del 2012 – incanutito, più tradizionale, formalmente stanco del rumore in itself – ha pensato altrimenti. I rumors affermano che la location prevista sarà, questa volta, l’Italia, ed un solo album sarà partorito, una pietra miliare ante tempore di una sterminata discografia: un’opera, mai realizzata prima, di vere e proprie canzoni, con strofe e ritornelli, blocchi fissi, echi del barocco di Monteverdi ed un parco di ospiti vocali, Mike Patton in testa, ai quali affidare gli umori e gli andamenti dei singoli pezzi.

A tempo debito, così come già per “A Dreamers’ Christmas”, giudicheremo quanto uscirà fuori. Tendendo l’orecchio verso la Grande Mela, intanto, le prove generali per il grande salto nel vuoto già fervono, frenetiche. Ed il senso di definitiva, pacificata strutturazione che, idealmente, dovrebbe sublimarsi da qui a breve, ripulito dalle asperità e scevro da schizofrenie assortite, si trasfigura in un mozzafiato trattato di psichedelia senza psichedelia, di armonia senza sovrabbondanza, di romanticismo senza degenerazioni. “The Gnostic Preludes”, lo sottolineiamo hic et nunc, è una magnifica sorpresa non petita. Anzitutto perché quarto volume di una saga mistica, iniziata un paio di anni fa con “In Search Of The Miraculous” e proseguita poi con i successivi – qui non recensiti – “The Goddess” e “At The Gates Of Paradise”, che era sorta non nel migliore dei modi e, da sempre, incastrata nel cuneo di una solida tradizione di easy listening messo alla prova, negli ultimi tempi, da un crescente affanno nell’esprimersi in rinnovate forme melodiche. Cercando di sintetizzare quanto di meglio i capitoli trascorsi avevano potuto offrire, specialmente via incrocio e mescolanza delle varie line-up (qui il trio Carol Emanuel all’arpa, Kenny Wollesen al vibrafono e Bill Frisell, l’amico di sempre, alla chitarra), John Zorn perviene, contro ogni aspettativa di base, fors’anche per la ritrovata compattezza della linea compositiva, ad un disco eccezionale.

Punti di riferimento, per meglio orientarsi, sono senz’altro l’austera seconda parte di “FilmWorks XXI: Belle De Nature/The New Rijksmuseum”, una delle colonne sonore di più recente creazione e di più alto lignaggio (letteralmente a prova di bomba l’intreccio di cordofoni, con effetto clavicembalo, nel fluire immacolato di “Prelude 7: Sign And Sigil”) ed il filone della music romance, levigato sino a raggiungere un sobrio spessore minimalista. Severo nelle architetture sì, “The Gnostic Preludes”, ma pervaso da cima a fondo da un sentimento di passione bruciante che fa inerpicare le fitte trame strumentali su vette di astrattismo cangiante, riedizione di una moderna classica contemporanea nell’insieme percorso catartico (“Prelude 1: The Middle Pillar”) e sorridente congiunzione di piccole frasi armoniche in sé perfettamente compiute (“Prelude 8: The Invisibles”). A sprazzi diviene estremamente complicato definire ciò che, d’impatto, parrebbe facilissimo ad incasellarsi: la solarità degli accordi e degli incroci prende le distanze dal disimpegno e si colora di trascendenza, l’aulica compostezza del trio in azione sembra sempre muovere da un principio iniziale di serendipità, cambiando in corso d’opera l’obiettivo conclusivo (particolarmente evidente, questo distacco, in “Prelude 3: Prelude Of Light”, aperta delicatissima e poi virata klezmer umbratile dal vibrafono di Wollesen).

Music Of The Spheres, si intitola il quinto, cinematografico preludio del disco, ed effettivamente si fatica a trovare qualcosa che vada più vicino a descrivere il contenuto di “The Gnostic Preludes”. È una gran gioia, umanamente parlando, riscoprire uno Zorn così ispirato, così reattivo nel mettersi in gioco in campi non propriamente suoi. “Prelude 2: The Book Of Pleasure”, in particolare, sussurra qualcosa di importante all’orecchio del mondo: che il trend si stia, nuovamente, invertendo?

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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redbar 8/10
REBBY 6/10

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Emiliano alle 16:24 del 19 maggio 2012 ha scritto:

Se passa da noi a registrare un disco il mio divano è suo per tutto il tempo che serve; può anche prendere quello che vuole dal frigo. Scherzi a parte, se Interzone per me rimane il miglior lavoro dell'ultimo Zorn, questo si piazza comunque molto bene.