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R Recensione

7,5/10

Khruangbin

Con Todo El Mundo

Dovremmo, forse, rassegnarci all'idea che un mondo transculturale non lo avremo mai. Questo perché nonostante le spinte, spontanee o eterodirette, alla globalizzazione culturale e alla fusione di tradizioni e usanze, il mondo sembra voler andare nella direzione inversa. La globalizzazione culturale non ha la forza propulsiva di quella economica, non ne condivide scopi e metodi e probabilmente la sua realizzazione non smuove gli interessi di tutti. O di quei pochi dai quali tutti dipendono. Laddove infatti la globalizzazione economica ha avuto successo, costruendo infrastrutture, stipulando accordi e rimuovendo dazi, barriere e regole; la creazione di un mondo transculturale si è rivelata un fallimento, generando esiti diametralmente opposti come protezionismo, ritorno a tradizioni dimenticate, rivendicazione localistiche e forme di razzismo che credevamo sepolte. Mentre per le merci si creano ponti, per la cultura si creano muri.

Magari mi sbaglio, ma anche il sogno di creare una musica “globale”, un suono mondiale che potesse raccogliere le istanze Real World sparse per il mondo e fonderle in una musica nuova, è fallito. Avevamo creato l'etichetta world da attaccare negli scaffali dei dischi, ma abbiamo dovuto staccarla poco dopo. Non piaceva a nessuno perché non rappresentava nessuno. Ci abbiamo provato: siamo andati in Asia, ci siamo trasferiti in Africa, abbiamo inviato milioni di file mp3 dal Belgio alla Nigeria e viceversa, abbiamo remixato l'afrobeat e dormito nel deserto del Sahel, ma ogni suono non ha mai smesso di mostrare le proprie radici, la propria identità e le proprie caratteristiche specifiche. Dal punto di vista culturale possiamo, al massimo, limitarci alla multiculturalità e comportarci come gli antropologi, o come dei turisti responsabili. Possiamo apprendere, contaminare e trarre ispirazione. Senza tornare indietro fino al mondialismo colonialista, possiamo limitarci e fare come Quentin Tarantino fa con il cinema e la sua storia. O come - ispirandosi dichiaratamente a Tarantino - i Khruangbin fanno con la musica.

Khruangbin sono Laura Lee (basso), Mark Speer (chitarra) e Donald “DJ” Johnson (batteria), e sono texani. Ad esclusione di qualche sentore sudamericano dato soprattutto dai titoli dei brani (che tradiscono le origini della Lee), di texano nella musica dei Khruangbin non c'è nulla. Ci sono però tutti i canoni del surf-rock (proprio quello tipico del recupero tarantiniano), c'è una profonda ispirazione psichedelica e una serie di riferimenti che vanno dal dub (in chiave bossa, “August 10”), all'Africa saheliana (in “Shades Of A Man” Speer si trasforma in Bombino), dal thai-rock (vera e propria fonte di ispirazione di tutto il disco), alla library music (“Cómo Te Quiero”), dalle dilatazioni sexy-lounge degli anni '70 (“A Hymn”) al funky da disco-music (“Evan Finds The Third Room”). Il collante in grado di tenere legata questa molteplicità di riferimenti ha due fonti principali: il primo è una ispirazione sincera e una concezione "divertita” della musica. Il secondo è una perizia strumentale notevole, che nella chitarra di Mark Speer diventa superlativa. È tutta sua, infatti, la resa cosmica di un pezzo fantastico come “Maria Tambièn” tutta giocata su scale che sembrano rubate a Omar Korshid e che danno davvero la misura della qualità della proposta di questi tre esploratori musicali.

Che magari non si può globalizzare la musica, ma si può comunque portare quella buona in giro per il globo. 

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Jacopo Santoro (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:15 del 28 marzo 2018 ha scritto:

Un vero bolero di emozioni. Con la testa tutta a Oriente.

Marco_Biasio alle 16:41 del 14 luglio 2020 ha scritto:

Che jam incredibile. E il nuovo Mordechai è anche meglio.