R Recensione

8/10

Oneida

Each One Teach One

Va bene, lo confesso, signor Inquisitore. Sono in possesso di potenti allucinogeni. Se tuttora ne faccio uso? Di tanto in tanto. Dove li nascondo, mi chiede? Uno dei più potenti è proprio là, si, subito dopo gli One Dimensional Man, no, quelli li lasci stare sono ottimi integratori, non fanno male al cervello… ecco si, quella roba arancione, due dosi, esatto, beh due dosi tecnicamente infinite, ad libitum…  no le giuro, mai spacciato, solo fatto provare, ma giusto tre minuti, sa come sono gli esseri umani, danno di stomaco facilmente. Vuole sapere l’effetto che fa? Non so se le conviene, no, non schiacci quel tasto, stia fer…

“You’ve got to look into the… LIGHTLIGHTLIGHTLIGHTLIGHT...” è partita Sheets Of Easter, e non c’è molto da fare. Puro furore garage, psichedelica isterica, una cascata di magma ruvida liquefa le vene, quattordici minuti di stordimento selvaggio. Un accordo, sempre uguale, ripetuto allo strazio, violenza elettrica amplificata, seguita pedissequamente da un drumming anch’esso ossessionante e identico, colpo su colpo… e quella voce, snervante, quasi annoiata, che ripete tuttora “…LIGHTLIGHTLIGHTLIGHT…”, non ha smesso da allora, e non illudetevi: non smetterà. Sfibrato, quasi fuori da sé stesso, l’Inquisitore tenta invano di allungare il dito, ma il tasto STOP è troppo lontano, da qui occhio e croce un anno luce. Solo due volte, al minuto cinque e al minuto otto, quasi per pietà, si va in apnea pochi secondi, per poi tornare a delirare. Non si capisce bene se sia il cervello a giocare brutti scherzi, ma la sensazione è che di tanto in tanto il canto vada a morire altrove, si affievolisca, poi ritorni, e la batteria arrivi in ritardo per riassestarsi da sola. L’Inquisitore ha gli occhi sbarrati, io ho un po’ freddo.

I sedici minuti di Antibiotics, nomen omen, sanno di cura, di sollievo dopo il tormento, ma il rovescio della medaglia è paradossale: l’agonia è prolungata, dilatata, dolorosa. Un organo impazzito crea la base ossessiva di tutta la prima metà del pezzo, solo sei acutissime note in loop velocissimo, accompagnato dal mitragliare secco della batteria violentata di Kid Millions. Poi un deflagrare liquido, le dita di Papa Crazy e Hanoi Jane scarnificarsi su chitarra e basso, un orizzonte post atomico sullo sfondo, e al tutto segue il nulla, sopravvive l’organo sopraffatto poco dopo da un olocausto di feedback e spinotti penzolanti…  al 10’45’’ parte il canto, che si fa nenia sotto acido, a distorcere pure quel brandello di armonia, e va a morire dopo due minuti, in una schizofrenia di fischi metallici e walkie talkie senza frequenza…

Muore l’Inquisitore, con un dito in un orecchio e un sorriso sulle labbra. Non aspettava che questo: un soffio di pace. Mentre lo portano via inserisco il disco due. E alzo il volume.

Non mi sorprendo, perché so. Dove il disc one era iniziazione assassina, il disc two è piacere per i sopravvissuti. La title track mi accoglie con smisurato calore familiare, il riff aguzzo, la voce indolente, le esplosioni hard rock. Segue la gravida saturazione di People Of The North, dove i Suicide banchettano con il Trent Reznor di The Fragile in uno scenario apocalittico di clangori industriali. Sulla stessa lunghezza d’onda la filastrocca sotto acido di Number Nine e l’intermezzo Sneak Into The Woods, mentre Rugaru si stiracchia barcollante frustando urla di vocoder impazzito su un tappeto di campanelli. Guardala, così bella pare un parto semiabortito della mente di Blixa Bargeld di inizi anni ’80… Il contraltare che segue è il dolce veleno di Black Chamber, forse l’unica vera e propria “canzone” dell’album - una strofa, un ritornello - che alla lontana ricorda i Blur più ostici dell’album omonimo. No Label, posta in chiusura, incede sghemba nel tentativo di tenere a fatica il passo della marcetta di tamburelli e pianole che tratteggia regolare il cammino… c’è stanchezza, e quasi svenevole nostalgia.

La musica si ferma. Ho gli occhi sbarrati e molte visioni appannate: c’è Iggy e i suoi Stooges, i 13th Floor Elevators, Tom Waits e perfino quel mattacchione di Captain Beefheart. Tanta altra gente che non distinguo bene. Concentrati, hanno ascoltato gli Oneida in silenzio, dopo il disc one hanno deciso di restare. Si sentono a casa, dicono. Come l’Inquisitore, mi resta un sorriso sulle labbra. Ora posso andarmene, anch’io.

V Voti

Voto degli utenti: 8,1/10 in media su 9 voti.
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IcnarF 8/10

C Commenti

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Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 1:08 del primo giugno 2009 ha scritto:

Straordinariamente dirompente e travolgente. Il rock più cacofonico, discrepante, allucinato dell'ultimo decennio. Impetuosa quest'opera nel cui suono vischioso coesistono senso ben congegnato e continua ricerca dell'estremo. [voto: 8.5] Ottima rece Daniele

Alessandro Pascale (ha votato 9 questo disco) alle 16:28 del primo giugno 2009 ha scritto:

splendida recensione

per uno dei dischi sicuramente più importanti del decennio, caposaldo per la psichedelia intrisa di heavy, kraut e post-punk. Una capolavoro insomma, anche se degli Oneida preferisco (soggettivamente) altri dischi (secret wars in primis)

Ivor the engine driver (ha votato 8 questo disco) alle 10:56 del 3 giugno 2009 ha scritto:

Anche io preferisco altri dischi (sia secret wars che the wedding) ma questo era un bel calcio nel culo al tempo dell'uscita. Però ammetto di sentirlo ben poco ora, soprattutto il primo pesantissimo cd. Cmq visti dal vivo un paio di volte, e sempre micidiali

IcnarF (ha votato 8 questo disco) alle 18:11 del 3 giugno 2009 ha scritto:

Fich sti Oneida

La mia classifica è 1) Secret Wars 2) Questo (bei momenti veramente tripponi ma pecca un po' di prolissità) 3) Anthem of the Moon. Ma viaggiano su una buona media i newyorkesi