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R Recensione

7/10

Orval Carlos Sibelius

Super Forma

Ciao, sono Nino, e trovo che Copacabana al tramonto sia di una bellezza incantevole. Tutto è più bello col giusto cocktail tra le mani, niente da dire – l’ho qui con me, proprio ora, un rum e cola che mi sciacqua le labbra con voluttà – ma, per quanto alcool possa ingurgitare, è ben difficile ricreare artificialmente simili bellezze. Caetano me lo dice sempre, sapete?, anni ed anni ad insistere che io e lui ci saremmo dovuti vedere in un certo ambiente, rilassati, tra amici. Finché mi sono deciso a salire su quell’aereo, a bucare le nuvole attorno a Fiumicino e a trasvolare un oceano, così, come se niente fosse. Sono impaziente di vederlo. Abbiamo molte cose da dirci. Lui apprezza me (come dargli torto?) ed io apprezzo lui. Cosa possa nascere dal nostro incontro, proprio non lo so. Se solo si facesse vedere! È tanto tempo che non ascoltavo la radio… Bravo, questo ragazzo. Proprio vero che Serge non è l’unico francese degno di essere ascoltato – glielo volevo dire, l’ultima volta che l’ho incrociato, ma non mi stava ad ascoltare, forse era ubriaco. Sì, ci sono gli accordi in reverse, accelerati. Sì, c’è quell’effetto di celesta riverberata, quel tocco wilsoniano che manda in solluchero Federico. Sì, ci sono quelle trombe che festeggiano le nozze di un’armonia incapace a chiudersi… Clap your hands, when you see him. Dovrei prima vederlo, però, questo Caetano, non vi pare? Intanto la tengo a mente, questa “Desintegração”. Sia mai che gli possa interessare…

Ciao, sono Roger, e mi sono accorto che in lontananza c’è un ottovolante che sta viaggiando da solo. Credevo lo guidasse il mio amico gnomo, quello che mi viene a trovare quando striscio sul pavimento: lo vedo nel suo mantello rosso, beve vino, mangia, dorme. Io, invece, rido. Ieri ho scritto un nuovo brano. Non vi dirò niente di più. È bello suonare psichedelia in 11/4, sapete. Ti fa sentire ortodosso in un campo che erge l’eterodossia a marchio di fabbrica. Non so bene cosa significhi tutto questo, l’ho letto in un appunto di Nick. Non sono cattivo e deviato e perverso come mi dipingono gli altri e mi dipingete anche voi. Non mi riesce proprio a rimanere a lungo di buon umore ma, come disse un saggio: saddest music is also the most beautiful. Questo francesino l’ha capito: la felicità sensoriale la si vive da stralunati, e solo dopo profonde immersioni. Sembra che “Spinning Round” debba deragliare da un momento all’altro, precipitare in un burrone di stonature, ma ci vuol poco prima che riprenda colore, si enfi sotto la spinta di un organo, lasci intravedere una grana pop bizzarra ed irregolare. “Super Data” si contorce sotto i fendenti di una potente chitarra hard-beat, ma ogni volta che il ritornello si accartoccia nella volatilità degli effetti space risento l’elefante effervescente. Non sapete chi è? Non si vede spesso, in effetti. È un amico stretto dello gnomo, comunque. La prima volta è venuto a darmi il saluto della buona notte: cantava “Bells” e strimpellava una chitarrina, manco fosse Johnny Greenwood – non conoscete neppure lui? Neanche io.

Ciao, sono Wayne, e non è stato proprio un bello spettacolo trovarmi una pistola carica puntata addosso, nel lontano 1978. Sembra il Paleolitico. In trentacinque anni sono cambiati i modelli, le armi si sono diffuse a macchia d’olio ed hanno affinato al massimo grado la loro letalità. Solo una cosa è rimasta fedele a sé stessa: l’odore nauseabondo delle taniche esauste nel quale immergere seicento cosce di pollo transgenico al giorno. Per combattere questo ed altro, ho deciso di iniziare a suonare. E non cose qualunque, ma psichedelia: e non psichedelia qualunque, ma la psichedelia dei Flaming Lips. Certe volte le memorie premono sugli emicicli del cervello con una tale insistenza da costringermi all’esagerazione: nascono le canzoni di nove ore, quelle di ventiquattro, i quadrupli lp da riprodurre contemporaneamente da quattro diverse angolazioni, i ciccioni con le ciambelle attaccate addosso, i teschi di gomma, le custodie di pelo. Frutti di simili periodi potrebbero essere anche le estenuanti scorribande di “Archipel Celesta”, quella roba kraut che non sta in piedi manco a sorreggerla con le stampelle – e non serve far starnazzare un moog su “Cafuron”, a ricreare una corrida kubrickiana in un folk fiabesco giocato sull’essenzialità e sul chiaroscuro (altro che Fleet Foxes), o la dolce vita di “Sonho De Songes” filtrata attraverso un accecante muro spectoriano da non far sentire assolutamente ai Cat’s Eyes (per non farli crepare d’invidia), o i Peaking Lights strafatti e sudaticci di “Burundi” (ad espansione materica potenzialmente illimitata). Serve un colpo di genio dei miei, una torch song sviata ed amniotica che faccia immaginare l’infinito, senza per questo ferire mortalmente la vista: una “Good Remake”, per esempio. Faremo finta di non ricordare quel 1978.

Ciao, sono Orval Carlos Sibelius. Avete ascoltato “Super Forma”, e ormai sapete tutto di me. Ora scusatemi. In segreteria ho trovato un messaggio vocale di Ennio. Non vorrei farlo aspettare troppo…

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 2 voti.
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Cas 7,5/10
motek 7/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:58 del 23 dicembre 2013 ha scritto:

un disco davvero grazioso, questo, un vero caleidoscopio colmo di sfumature, intuizioni, colori. per ora il mio giudizio è di poco superiore al tuo, ma questo è il classico disco che può fermentare... e la recensione è davvero ottima!

loson alle 19:41 del 23 dicembre 2013 ha scritto:

Sto con Cas: disco bellerrimo, tutto da scoprire e da "costruire" ascolto dopo ascolto. Non aggiungo altro perchè lo sto ancora metabolizzando, se così può dirsi. Marco, sei talentuoso e pazzo.

Utente non più registrato alle 14:34 del 14 febbraio 2014 ha scritto:

...qui invece siamo dalle parti dei gruppi "minori" fine sixties...vabbè...