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R Recensione

8/10

Slumberwood

Anguane

L’orrore più grande, e David Lynch ce l’ha insegnato, la distorsione della moralità, dicevamo, il marcio della perversione si nascondono dietro al paravento del “normale”. Chi è “normale” indossa una maschera, impersona un ruolo. Dietro alla quiete, ai paesaggi pigri, all’immobilità provinciale spietati coleotteri lottano fra di loro, tensioni di ogni tipo crescono, convenzioni sociali affilano le loro armi. Potrebbe essere semplice passione, residuo di una ben comprensibile fascinazione, ma non è probabilmente un caso che, nella tracklist del loro secondo disco, i padovani Slumberwood abbiano inserito “Emerson Laura Palmer”, evidente calembour a più voci infestato da fantasmi che definire ossessivi sarebbe ridicolmente eufemistico: un incubo garage-noir dove Bob è una tastiera stroboscopica, Dale Cooper la chitarrina arsa dai riverberi i cui giri si rincorrono frenetici e circolari, Donna Hayward la ritmica spezzettata ed ansimante. Proprio dai sonnecchianti grandangoli dell’instancabile manifatturiero patavino si levano le silhouette delle anguane, il prodotto collaterale del tacito e nascosto folklore locale: ninfe, rusalki del Triveneto dall’aspetto bizzarro e dal carattere bestiale, indomabile che, in fondo, ne rispecchia la vera natura di creature d’altro mondo, mitologici demoni d’acqua.

Anguane”, così, trova nella psichedelia la sua più completa ragione d’esistere. Un delirio a tutto tondo dove le percezioni, le visioni, le allucinazioni di quarant’anni di rock si condensano in un bignami di astrattismo particolaristico ed impatto d’insieme. Quasi svia l’apertura, con una misterica e stralunata “7th Moon Of Mars” rubata al criptico Barrett di “A Saucerful Of Secrets”: un unico, efficace tremolo multistrato dalle percussioni jazzate e dall’andatura sghemba. Il mood, in realtà, lungi dal dissolvere la propria essenza in una indefinita nebbia atemporale – esaltazione e peccato mortale del genere – è piuttosto cupo ed opprimente: questo, va sottolineato, senza ispessire nel contempo la materialità del cotè strumentale. Schiocchi, sibili, rumori sferzano “Sargasso Sea”, viaggio alla deriva senza bussole predefinite dove ogni colpo di piatto è un fulmine che squarcia un cielo plumbeo. “La Corsa Del Lupo” è un pezzo di bravura per accumulo e condensazione, che parte da un semplice giro di chitarra acustica sospeso nel vuoto per sovrapporre, gradatamente, un’orgia di sovraincisioni e field recordings ed ottenere, da un nocciolo minimalista, una prova generale di big orchestra. Memorabile la doppietta conclusiva, con l’estasi di “Harmonium” diluita in un drone astrale, etereo e allo stesso tempo estremamente massiccio, e la lugubre title-track, interamente sorretta da un tetro pianoforte in sottile, continua evoluzione (dis)armonica e plastico dinamismo post-classico (i Father Murphy sono dietro l’angolo).

Fosse solo questo, “Anguane”, staremmo tuttavia parlando dell’ennesimo disco importante, bello formalmente, ma troppo complesso e meditato per arrivare al cuore. La psichedelia degli Slumberwood, invece, riserva ulteriori ribaltamenti, ed in fondo sempre di quello si tratta: verità ed esteriorità, crudezza ed abbellimento. Quando tutto sembra ormai indirizzato, un raggio di sole scoperchia le tenebre e storna l’aleggiante presagio Jennifer Gentle. Dapprima lo scarto, bislacco, è giocato sulla weirdness di una sciocca canzone three-chords-only, termometro degli umori di certo folk stonato (il singolo “Everything Is Smiling”). Poi, d’improvviso, l’inversione. E torna la contemplazione, certo, ma non più distaccata, impersonale come prima. Un sintagma compulsivo a rimare la melodia con le chitarre, a scavare tortuose linee di iterazione, a suonare ancora come i Flaming Lips degli anni ’90. Help me grampa, help me grampa, help me grampa… Il mantra resiste alle fratture del brano, ai Moog svalvolati, alle divagazioni per la tangente e, guarda un po’!, ne nasce persino una perfetta istantanea pop: “Help Me Grampa”.

Dal curato artwork alle singole idee di ogni brano, “Anguane” è, davvero, un oceano di creatività ed una sorpresa continua. Prendete e uccidete anche voi. Laura Palmer, chiaramente.

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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REBBY 6/10

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