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R Recensione

7/10

The Psychic Paramount

II

Nel 1996 non ero a New York. No, non ero nel tempio del noise, nel simulacro del rumore bianco, frammezzo alle trabeazioni di un luogo di culto che macinava vent’anni e più di scorie radioattive per farle poi posare dovunque ce ne fosse stata l’occasione. Destrutturazione del rock? Neanche a parlarne. “Washing Machine”? La lavatrice. I Laddio Bolocko? Probabilmente eroi di serie Z di un qualche fumetto nerd particolarmente criptico. In un certo senso, non si era troppo lontani dalla verità. E se colleghi dal simile lignaggio artistico, che ugualmente muovevano i propri passi nello stesso cono di penombra, avrebbero ottenuto il riconoscimento critico così tenacemente agognato appena qualche anno più tardi (pensiamo agli At The Drive-In, poi Mars Volta), per gli impronunciabili Bolocko non rimaneva che un’unica scelta: strumenti appesi al chiodo e tutti a casa. O quasi. Perché, lo si sarà capito, rifiuto chiama rifiuto ed una fenice, una qualsiasi, rimane fenice aldilà del nome che si decide arbitrariamente di porre. In poche parole: cambia il monicker (Psychic Paramount quello aggiornato) e qualche membro (ma l’asse è sempre imperniato sul chitarrista Drew St. Ivany e il bassista Ben Armstrong), ma non la sostanza.

II”, emblematica seconda prova in studio del trio americano, ha la partenza al fulmicotone di un disco che non sembra voler perdere tempo nel cincischiare su massimi concetti: “Intro / Sp” è un accecante tunnel rumoristico dalle squadrate, solide, sghembe proiezioni psichedeliche, con missili siluranti per chitarre ed una tensione ciclopica che affila le proprie armi sulla lezione dei Lightning Bolt. Antiquariato portato di peso dentro al vortice della demolizione: da augurarsi che Roky Erickson non abbia, quantomeno, fatto mai (ab)uso di ketamina. Eppure, partire dalle allucinazioni più stroboscopiche del vecchio rock anglofono per stravolgerle in base alla rigorosa metodologia anarchica della cacofonia sembra essere un leit motiv che si rincorre, con precisi pretesti, durante tutto il lavoro. Il brutto sono le descrizioni che potrebbero uscirne fuori. “DDB”, capolavoro,  costruisce un elegante sottofondo fusion per strepitose divagazioni acid jazz: colate di metallo lavico irrompono poi dal baricentro del brano, serrato in un turbinio di effettistica frustata da sciabolate punk funk. Quant’è pesante detto così? Credeteci oppure no: è così.

Gli Psychic Paramount non sono un gruppo per tutti. Ciò non toglie che le profonde radici teoriche e compositive dietro “II” possano venire decodificate anche da chi si sentirebbe in dovere di rifiutare a priori musica del genere. I risultati non sono sempre difficili. “N5 Coda” è una biscia dinamica dall’armonia plastica: “Isolated” sceglie la strada del granitico fuzzorama per liturgizzare l’incontenibile esplosività della sezione ritmica, e sembra quasi di sentire gli Earth, suonati al doppio della velocità e seppelliti dai malevoli feedback degli Electric Wizard. Bisogna però essere onesti quando si individua, in alcune lungaggini prominenti ed in un coefficiente di visionarietà a tratti sin troppo ipertrofico, la più grande zavorra del disco: l’incapacità di rinunciare a suonare sempre come sé stesso, senza rinunciare ad essere sé stesso. Così le ombreggiature di “RW” appariranno di una sottile, ipnotica tinta kraut, senza però riuscire ad ammaliare: i fragorosi smottamenti noise di “N6”, vecchi di almeno un quindicennio, sembreranno altresì l’elemento chiave in grado di tenere a galla un brano che occhieggia ai Dysrhythmia senza per questo avere né il tasso tecnico, né il necessario equilibrio tensivo.

Luci ed ombre, follia e sregolatezza. Nel 2011 non sono ancora a New York: sarà perché troppo appeal, sotto sotto, uccide?

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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keolce 7/10

C Commenti

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galassiagon (ha votato 7 questo disco) alle 20:21 del 27 marzo 2011 ha scritto:

Abbondanza di secco

Gran bel disco, stupendamente suonato, sempre enigmatico , mai finito..

Bella recensione.

Voto secco.