Real Estate
Days
Dall’home recording jersiano (via Woodsist: “Real Estate”, 2009), dritti nelle braccia confortevoli della Domino Records. E lontani dalle basse risoluzioni, anche; ché, a questo giro, uno studio di registrazione, ad hoc, c’è stato – “New Paltz”, New York; così come un contratto, su carta intestata, ed un produttore (Kevin McMahon) su misura per loro - Walkmen, Titus Andronicus. Non a caso, i Real Estate, che di spontaneità in oscillazione tra (weird-)folk e pop sixties ne sanno giusto qualcosa, giungono al secondo appuntamento su lunga distanza, consapevoli, da principio, che - al netto degli isomorfismi (ormai) classici della loro proposta - il salto qualitativo possa arrivare solo sgrezzando il materiale in possesso. Vediamo com’è andata.
Perso Etienne Purgay – sostituito alle pelli da Jackson Pollis (Tiny Masters of Today) –, con “Days”, i nostri non mutano del tutto la struttura delle loro composizioni: che è basata anche qui su riff ciclici (R.E.M., Go-Betweens) e incastri melodici di deriva psych/surf; da melodie dal tiro jangle, incarnate in una sapientemente attitudine folk e pop (The Byrds, Xtc; ma anche Shins, Charlatans, Woods, tra gli altri). Piuttosto, a differenziarsi, è la cura sugli arrangiamenti, nonché la perizia sul sound: nel senso di limatura di asperità lo-fi troppo evidenti; calibratura byrdsiana, per cifra estetica; contegno ‘empirico’, dato il perfezionismo scevro di sbavature. E la faccenda si fa, qui, ben più poppy, rispetto al debutto– i Beach Fossils prendano nota.
Matthews Mondanile, pioniere del pop- ipnagogico/riverberato (l’ottimo “III: Arcade Dynamics” di quest’anno), non rinuncia però alla sua indole psych, fatto di coordinate spazio/temporali tutte sue, e spiana sovente il percorso dei brani, attraverso ispirazioni lisergiche condensate in melodie umide, e circolari - il concetto di insight, qui, trova piena applicazione. Queste, armonizzate alla perfezione con gli apporti chitarristici di Martin Courtney, creano incastri e sovrapposizioni verticali di assoluto spessore, che ben si abbinano al cantato soffice e precario - e quindi di una bellezza sfuggevole - di quest’ultimo. A congiungere il tutto, entro i brani, il basso di Alex Bleeker (Alex Bleeker & The Freaks), idealmente preso a prestito dai Fleetwood Mac ("Rumours", magari): come in “Green Aisles”, in cui la linea a circuito chiuso, gentile e cadenzata, supporta a dovere umori dreamy che trasudano malinconia da tutti pori – l’assolo psych è da catarsi istantanea. E quelle volte in cui i Real Estate concedono escursioni fuori dal raggio della struttura, Mondanile ‘esaspera’ la sua bravura sghemba (“Younger than Yesterday”; “Wonder Years”) scevra di virtuosismo; ma fa lo stesso la sua figura, anche quando rimane ingabbiato nei legami delle composizioni (“All the Same”). Si gioca, tenuamente – ma, lo stesso, con gran piacere - , attraverso le armonie vocali e con i cori - a riprova di una possibile infatuazione beachboysiana: come in “Wonder Years”, e tra gli accordi e le pennate stuzzicanti e insieme apatiche di “Municipality”. Non c’è complessità troppo evidente, ma l’alchimia trovata ha dello straordinario, in certi episodi (esempio più eclatante, la scrittura folk-pop ‘classica’ di “Out of Tune”). Le tastiere - da segnalare anche l’ingresso di Jonah Maurer -, latenti e di rado messe a fuoco, spiccano, ora, quando riprendono la melodia, rendendo la patina delle composizioni trasognata (ancora “Younger than Yesterday”), ora nel creare sottili distorsioni (quasi vintage, sul ritmato di "It’s Real”).
Certe liriche, infine, semplici e ben calibrate, sono come istantanee di momenti/posti/pensieri ben precisi, sottratti qua e là al tempo (“Green Aisles”; “Three Blocks”; “Out of Tune”).
Tornando alla considerazione iniziale, possiamo concludere che sì, il salto qualitativo dei Real Estate, con “Days”, c’è stato, èd è evidente; tanto da renderli tra le proposte più interessanti di questo inizio decade. Solo il tempo dirà se sarà anche degno di esser tramandato ai posteri (addirittura!); o, più semplicemente, se quest'album sposterà, nel breve termine, le coordinate delle produzioni psych/folk-pop di matrice indie (d’oltreoceano, soprattutto).
Nell'immediato, per chi si limita ad ascoltare, sarà sufficiente godere di questo lavoro.
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