V Video

R Recensione

5,5/10

Djam Karet

The Trip

Il nuovo capitolo dell'avventura sonora dei californiani Djam Karet (band culto dell'alt-prog dall'afflato sperimentale) prende la forma di un unico lungo brano - non una suite - che evolve gradatamente da digressioni ambient verso liquidi panorami solcati da una psichedelia floydiana per poi tuffarsi in un oceano space-rock. Lo diciamo subito: nonostante la considerevole durata di questa composizione (48 minuti), siamo di fronte a un disco interlocutorio che non stupisce per ardimento e che non convince per genuinità. Almeno rispetto agli standard che i Djam Karet hanno offerto in quasi trent'anni di carriera spesi a servizio di una caparbia evoluzione di un progressive poco desideroso di ridursi alla rievocazione degli antichi fasti barocchi. Nel corso del tempo hanno infranto tabù e muri del suono, trasferendo nella loro musica tradizioni differenti, richiamandosi ora ai King Crimson, ora Frank Zappa, ora a contesti più sinfonici, ora - per l'appunto - ad eclettismi psichedelici. Tuttavia giunto al sedicesimo episodio della propria discografia, l'ensemble capitanato da Gayle Elett e Mike Henderson si immerge completamente in quelle latitudini siderali  attraversate - oltre che dai Pink Floyd - da band come Tangerine Dream, Popul Vuh, Ozric Tentacles, i Porcupine Tree degli esordi (riaffiora a più riprese il sound della loro vecchia label, la Delerium). Qui tutto sembra sviluppato come una improvvisazione, un fiume straripante di ambientazioni fantascientifiche d'antan: ma le idee non paiono progettate ed elaborate tramite un propedeutico percorso compositivo, secondo un dettagliato "piano di volo". Le varie fasi di "The Trip" (un titolo, un programma) risultano spesso disomogenee, disarticolate e prive di senso della misura, animate da sintetizzatori pronti a elargire vetusti suoni astrali (per i quali non userei il più temperato termine "vintage"), tirati in ballo per ricondurre sin troppo pleonasticamente all'immaginario del viaggio spaziale. Anche le timbriche - e gli esercizi di stile - delle chitarre sono esattamente quelli che ti aspetteresti in una sceneggiatura lisergica come questa.

Dopo un album di rivisitazioni di vecchie composizioni (il precedente "The Heavy Soul Sessions" del 2010) e questo nuovo opus che ha il sapore di un  excursus estemporaneo, attendiamo dai Djam Karet - finalmente - una prova cruciale, che dimostri in modo tangibile che il loro perdurare nel secondo decennio del terzo millennio possa coincidere con un "rinnovato spirito di continuità" fra presente e passato, ossia con quell'approccio che ha reso davvero significative alcune opere della loro vicenda artistica.

Eppure Gayle Ellett, militando anche negli Herd Of Instinct (una delle realtà più interessanti degli ultimi anni in ambito "eclectic prog"), ha dimostrato la volontà di dirigere le sue tastiere e il suo estro a verso una ricerca di moderne interpretazioni delle "antiche scritture", avvalendosi di complesse congetture ma senza mai smarrirsi in labirinti di  autoindulgenza. Ben diversa è la realtà di "The Trip": in musica sarebbe sempre bello auspicare viaggi senza avere in tasca il biglietto di ritorno. In questo caso invece, la sicurezza di tornare ad altro, rende l'intero trip più accettabile. Peccato.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.