The Horrors
Skying
Chi sono gli Horrors? Il fenomeno di costume (o da baraccone, diranno le malelingue) degli esordi, quelli che mischiavano garage e estetica gothic? Oppure quelli di due anni dopo che davano alle stampe un disco di tutto rispetto come Primary Colours, calderone shoegaze, post-punk e dark?
Ce lo chiediamo perché, all'uscita dell'ultima fatica della band, l'attesissimo Skying, ci troviamo di fronte ad una creatura ulteriormente rinnovata e mutata (ce lo potevamo aspettare dopo l'esperimento firmato Cat's Eyes), con molte soluzioni di continuità rispetto alle precedenti uscite e con un differente approccio alla materia sonora. Una bella gatta da pelare, insomma.
L'impressione è che gli elementi caratterizzanti degli Horrors siano da ricercarsi proprio nella mutevolezza, nell'equilibrio dinamico che, a quanto pare, tiene lontano il gruppo da un qualsiasi stato di quiete. Skying pare dunque un tassello vagante senza una propria identità accertata, ancora immerso nello scandaglio di suoni passati, fatti riemergere ed addensati in brani gonfi, saturi di riferimenti, rimandi, stimoli.
I pezzi dell'album relegano sullo sfondo gli elementi shoegaze, affidando loro il compito di creare effetti psichedelici soffusi, offuscati, di imprimere all'armonia complessiva una portatura ondulatoria e oscillante. A parte rari casi di ritrovata prestanza chitarristica (la spinta energica di Endless Blue, l'incendiaria Monica Gems), le chitarre gorgogliano nelle retrovie, slabbrando e smussando il sound e creando motivi riconducibili sì a certo shoegaze, ma anche all'andazzo barcollante di certo baggy (Dive In), denaturato in una soluzione dark, forse l'unico marchio di fabbrica della band. Lo stesso approccio domina nella prima Changing the Rain, immersa nell'oceano sfumato ritratto in copertina, persa in una filastrocca dolcemente anestetizzata. L'effetto più spesso evocato è quello del caleidoscopico gioco di riflessi, ora amplificati ora sedati, in un continuo levitare di aggregati sonori stordenti e cangianti. Si prenda il singolo Still Life, costruito su un accumulo lento ma inesorabile di patos giocato sul dualismo tra le textures tremolanti e il solenne intervento del synth, in un fortunato connubio tra Psychedelic Furs e Simple Minds (che assieme permeano buona parte dell'album), per un crescendo che acquisisce maggiore enfasi con l'ispessirsi degli strati sonori e degli overdub vocali. La lunga Moving Further Away si impegna a costruire variazioni su un tema di synth che sembra giungere dal krautrock di Kraftwerk/Neu!, dilatandolo e devastandolo sul finale.
Impossibile non sbrodolarsi alla ricerca del riferimento più azzeccato, della band più simile. Il tasso di citazionismo è davvero alto ed incastra l'album tra la new wave '80s più gonfia e psych (i già citati Psychedelic Furs, certi Echo and The Bunnymen) e le sonorità brit anni '90 (i Pulp, il baggy, residui shoegaze). Citazionismo che si avvale di una cura alla produzione non sempre a fuoco, che spesso sovrasta l'efficacia e la presa dei pezzi. Dentro ad un involucro studiato per sorprendere raramente troviamo un ripieno soddisfacente: sono pochi i pezzi che rimangono davvero impressi, sacrificando i dovuti appigli pop che sarebbero utili per invogliare a ripetuti ascolti. L'impressione quindi è quella di un grande impegno nelle architetture sonore, nelle armonie e nella composizione. Unendo queste conquiste alla capacità di dar vita alle brillanti canzoni passate la band potrebbe essere perfettamente in grado di fornire la risposta alla domanda introduttiva: chi sono gli Horrors?
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