R Recensione

7/10

Black Crowes

By Your Side

“By Your Side”, quinto album dei Corvi Neri datato 1999, è un disco molto potente; terribilmente rollingstoniano, ma in una maniera che i Rolling Stones non hanno proprio speranza di avvicinare… E’ parimenti smaccato, qui e là, il richiamo al vecchio pub rock dei Faces ma, anche nel confronto con l’etilico gruppo di gioventù di Rod Stewart, c’è il valore aggiunto in termini di capacità di arrangiamento, determinazione e coesione che i cinque Black Crowes hanno in dotazione. Insomma questo è, dei nove album in studio sinora pubblicati dai Crowes, quello più sonoro, più urgente, più rock, più diretto, più divertente… senz’altro il mio preferito.

 

Il merito di tutto ciò va, riconoscentemente, al produttore Kevin Shirley ingaggiato per l’occasione. Egli, dopo aver ascoltato per un po’ il gruppo provare in sala le nuove canzoni nell’ormai consolidato stile southern dei loro precedenti album “Amorica” e “Three Snakes And One Charm”, vale a dire rilassato, dondolante, improvvisato e un po’ anarchico, fece loro un discorso molto chiaro: voglio fare un disco rock tosto, diretto, compatto, forte, asciutto, prepotente, rigoroso… niente jam session, niente sbavature, niente autoindulgenze!

 

E così fu: il quintetto fu pilotato a picchiare duro, a ritornare in qualche modo all’hard rhythm&blues del fulminante esordio di dieci anni prima “Shake Your Money Maker”, anzi estremizzandolo, rinnegando per questa volta l’istintivo atteggiamento mezzo fricchettone per ricercare qualcosa di magari più derivativo, ma terribilmente maschio e fisico.

 

Il fatto poi che avessero appena licenziato il solista Marc Ford per i soliti motivi di “stupefacente” inaffidabilità, con conseguente doppio incarico per il chitarrista ritmico Rich Robinson, non fece altro che accrescere la potenza dei pezzi: Robinson, sebbene solista abbastanza ordinario, ha come talento un’inarrivabile fragorosità e grinta ritmica. L’impatto del suo strumento è quello di un treno merci, lui è della stirpe dei grandissimi chitarristi ritmici del rock (mi vengono in mente Pete Townshend, Steve Stevens, Angus e Malcom Young, Ty Tabor, Keith Richards, Dan Hawkins, Tom Johnston…).

 

Il fratello suo Chris ci mette poi del suo, aggiungendo la grande versatilità alle altre sue doti canore: la sua indole hippy e psichedelica tende ad orientare la sua vena verso interpretazioni strascicate, riflessive, ma la sonorità e saldezza della sua emissione vocale gli consentono di navigare senza problemi sopra al supremo casino dei quattro suoi compagni, qualificandosi appieno come magnifico cantante di hard rock anche se... saltuario, diciamo così.

 

Per approfondire il discorso su quest’opera estremamente compatta, dinamica e vispa è sufficiente descrivere come comincia e come finisce: il brano d’apertura “Go Faster” spalanca subito alle orecchie le intenzioni bellicose del quintetto: dopo uno strano conteggio del tempo abbaiato da Robinson entra un terremotante tempo di batteria del roccioso Steve Gorman, seguito dalle chitarre spietate e da una bollente armonica blues. Strumenti e voce sono tutti in primo piano, con una terrificante tendenza ad uscire dalle casse o dagli auricolari d’ascolto… è un hard rock blues che sanguina letteralmente fuori dallo stereo e trova pace solo alla fine, con l’ultimo singulto in pieno effetto larsen dell’amplificatore di Rich.

 

L’episodio in chiusura “ Virtue and Vice” è a mio giudizio l’apoteosi e il capolavoro dell’album, una canzone in mid-tempo che procede sorniona nelle strofe e nei ponti per poi salire al piano di sopra nei ritornelli, quando il pianoforte profondo e sonoro di Eddie Harsch prende a condurre le danze, nobilitando la gazzarra delle chitarre e raddoppiando la resa sonora di album come “Who’s Next” e “Quadrophenia”, intanto che Chris Robinson fa esplodere a tutta forza la sua gagliarda voce, riuscendo incredibilmente a preservarne il bellissimo timbro: sono quasi cinque minuti di superbe melodia, animosità, armonia e potenza fuse insieme che concludono alla grande, sugli ultimi accordi rigogliosi di pianoforte, questo vigorosissimo lavoro.

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zagor alle 16:50 del 9 ottobre 2013 ha scritto:

bella recensione. loro certamente non sono mai stati un bastione dell'innovazione ma hanno fatto diversi lavori interessanti, anche se il meglio lo davano dal vivo, essendo dei musicisti straordinari.

PetoMan 2.0 evolution alle 17:42 del 20 ottobre 2013 ha scritto:

Con loro mi sono fermato ai primi tre, ma con l'idea di ascoltare prima o poi anche il resto. Ottima band e da come descrivi questo disco credo proprio che potrà piacermi.