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R Recensione

6,5/10

Faces

A Nod Is As Good As A Wink To A Blind Horse

Un cenno del capo vale tanto quanto far l’occhiolino a un cavallo cieco”: il logorroico titolo di quest’album cita un vecchio proverbio inglese il quale, nel discutibile humour d’Albione, sta più o meno a significare che ci si è capiti benissimo, perciò qualsiasi altro cenno sulla questione è più che superfluo… bah!

 

Sempre a proposito della cover, l’alcolica banda rocchettara d’antan è ripresa al lavoro sul palco in entrambi i suoi lati, ma l’immagine nel retro è la più simpatica: al posto dei musicisti vi sono dei pupazzi, buffe e riuscite caricature dei loro tipici look, specialmente il bambolotto del loro frontman Rod Stewart coll’inconfondibile, biondastro ciuffo ribelle sulla sommità della cabeza. Inoltre le prime copie andate in stampa dell’ellepì, ora ricercatissime dai più fissati, allegavano un tremendo poster consistente in un collage di immagini di pillole non meglio identificate, ma sicuramente da loro amate, insieme ad istantanee scattate in camera d’albergo insieme a donnine nude, delegate ovviamente al risollevamento della loro solitudine di artisti itineranti: ritirato subito dalla casa discografica, dopo pochi giorni dalla pubblicazione!

 

Il quintetto dei Faces, che i ben informati ricordano generato dalla parziale fusione di due altre formazioni, Small Faces e Jeff Beck Group, ad inizio anni settanta seppe farsi strada in ambito rock fra smaglianti concorrenti quali Led Zeppelin, Rolling Stones, Deep Purple, Who, Ten Years After, Free. Le migliori frecce al suo arco erano l’assoluto e comunicativo atteggiamento scanzonato, divertito, apparentemente senza un pensiero da un lato, la strepitosa voce del giovane Rod Stewart dall’altro.

 

Dati i soggetti altamente goliardici, giammai si sarebbe potuto chiedere loro accuratezza di esecuzione, ricercatezza fra generi e stili compositivi, profondità di argomenti nelle liriche: Faces è stato e resta ancor oggi nella memoria storica degli appassionati un vero e proprio eponimo di rock diretto e divertito, senza secondi livelli e secondi fini.

 

Bene fece allora il super produttore Glyn Johns, già allenato a simili creative sciatterie avendo lavorato con Rolling Stones, Joe Cocker ecc., a farli suonare tutti insieme dal vivo in studio, sovra incidendo il minimo indispensabile, giusto una seconda chitarra ogni tanto, più le voci di Stewart e del bassista Ronnie Lane. Il disco ha le sue evidenti imperfezioni: note leggermente fuori posto, leggere stonature, asincronismi… ma perdinci è vivo, pulsante, schietto, piacevolmente naturale!

 

La batteria di Jones è ripresa da appena quattro microfoni, secondo lo stile caro al produttore; l’assolo di chitarra arriva sulla stessa traccia della ritmica, un’acciaccata al pedalino per mettere un po’ più di sustain e via! Così si facevano certi dischi una volta ed  è sempre un piacere annusare la loro atmosfera unica, al di là della mera resa tecnica.

 

Canzone dominante dell’opera è la quinta in scaletta “Stay With Me”: riconosciuta ed apprezzata da tutti gli addetti ai lavori e dagli amanti del rock, coverizzata da Def Leppard, Thunder, Manic Street Preachers, Train e tanti altri, accentrata soprattutto nel vero tour de force del chitarrista Ron Wood, futura Pietra Rotolante di lì a un lustro, macchina ritmica di buona inventiva. Le strofe e i ritornelli sono strascicati e lascivi, nelle parti strumentali si raddoppia la velocità e si passa al frenetico, lo solista di Ronnie lega efficacemente il tutto e il saltellante pianetto elettrico di Ian McLagan direziona il genere verso il primigeneo rock’n’roll.

 

Ben tre canzoni su nove prevedono al canto solista il povero Ronnie Lane, al tempo lontano dall’immaginare quanto la sua vita sarebbe stata, di lì a qualche anno, compromessa dall’irruzione di un bruttissimo ed incurabile male, causa di una progressiva infermità e infine di una precoce morte. La sua voce cordiale e garbata c’entra veramente poco con il rock stradaiolo ante litteram della formazione, addirittura men che niente con la vera macchina da guerra costituita dalla strozza del tizio accanto a lui, al secolo Roderick David Stewart, un cantante che finirà poi per imbolsirsi come e più di tanti altri, ma che all’epoca spaccava.   

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PierPaolo, autore, alle 19:27 del 5 novembre 2015 ha scritto:

In the morning don't say you love me

'Cause I'll only kick you out of the door

I know your name is Rita,'cause your perfume smelling sweeter

Since when I saw you down on the floor

Won't need to much persuading, I don't mean to sound degrading

But with a face like that, you got nothing to laugh about

Red lips hair and fingernails, I hear your a mean old Jezebel

Lets go up stairs and read my tarot cards

Stay with me, stay with me

For tonight you better stay with me

Stay with me, stay with me

For tonight you better stay with me

So in the morning, please don't say you love me

'Cause you know I'll only kick you out the door

Yea I'll pay your cab fare home, you can even use my best cologne

Just don't be here in the morning when I wake up

Stay with me, stay with me

'Cause tonight you better stay with me

Sit down, get up, get down

Stay with me, Stay with me

Cause tonight your going stay with me

Hey, whats your name again

Oh no, get down