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7/10

Giulio Casale

Dalla parte del torto

Scrittore, attore, cantante, ma soprattutto rocker. È in questa veste infatti che Giulio Casale ha iniziato la sua avventura artistica oltre venti anni fa con la rock band Estra di cui era voce e autore. Nel 2000 pubblica il libro Sullo Zero, che porta in tour con una serie di reading, iniziando un percorso di avvicinamento alla recitazione che lo conduce prima a riproporre il teatro canzone di Giorgio Gaber e in seguito spettacoli inediti su Fernanda Pivano e la poesia beat americana.

Oggi Casale torna, a sette anni di distanza dall’ultimo lavoro discografico, con un disco carico di energia e rabbia, che si avvale dell’apporto di Giovanni Ferrario alla produzione (ormai marchio di garanzia del meglio del rock italiano e non solo, da Le Luci della Centrale Elettrica a P. J. Harvey), il cui titolo "Dalla parte del torto" (citazione da Bertold Brecht: "dato che tutti gli altri posti erano già occupati, ci siamo seduti dalla parte del torto") dice molto della poetica e del pensiero dell’artista trevigiano. 

E proprio con un grande rock di impatto (La tua canzone) si apre il disco, un brano dedicato al potere della musica. Rock che ritroviamo in Un’ossessione, brano ritmato e ossessivo, sulle nevrosi della vita dell’uomo medio occidentale, in cui si percepiscono anche riferimenti musicali alti (Velvet Underground). Rock ma anche elettronica: in La Merce, i suoni elettronici quasi sovrastano la melodia di una ballata distorta, in Virus A le dissonanze accompagnano cantilene e parti recitate, per un testo splendido sui pericoli che sta correndo un’Europa sempre più preda di razzismo e xenofobia, con la sua nuova guerra alle streghe (i froci, i tossici, gli zingari, i deformi, i perdenti, gli inutili, i pazzi, gli altri). Torna qui il teatro canzone, ormai parte imprescindibile dell’arte di Casale, che ritroviamo anche nel rock scuro de La febbre, un brano riuscitissimo, con un recitato centrale che nel crescendo si interseca al ritornello.

Non da meno sono i brani più melodici e pop, come Apritemi, intenso e lirico, uno splendido canto di aiuto dell’uomo immerso nella sua solitudine, circondato da altre solitudini, risultato paradossale dell’incomunicabilità nell’era della comunicazione globale, o la cover di Magic shop (di Franco Battiato), un pop soffice e delicato, arrangiato benissimo, ma soprattutto cantato in maniera splendida, in cui Casale dà dimostrazione delle sue grandi doti di interprete, o ancora il singolo Fine, allegro nonostante il testo “tragico” sulla fine dell’impero occidentale, tema tipicamente gaberiano.

I temi e le idee di Gaber e Luporini ritornano anche in altri brani del disco, in particolare in La mistificazion, uno dei testi più riusciti, dove Casale dipinge una società in cui l’unica idea che rimane è esercitare il potere, dove vige il trionfo dell’io senza più le persone, e in Personaggio comune, dove sembra di intravvedere una speranza di salvezza in un piccolo gesto di un uomo comune (Aveva casa con vista su case, E mille canali da prendere, Aveva giorni ripetuti clonati, un quotidiano sempre online per sapere, e pizza e calcio al giovedì con gli amici, e mostre d’arte che non puoi non vedere).

Con questo lavoro Casale ci racconta la fine della civiltà occidentale, una società allo sbando, dominata da nuovi barbari, uomini senza direzione, oppressi dalla solitudine e dall’incomunicabilità, che si rifugiano nell’intolleranza nel tentativo di cercare all’esterno le cause della propria sconfitta. Gaber riponeva  la speranza di salvezza in un uomo nuovo, un nuovo rinascimento, un nuovo umanesimo. Casale ripone questa speranza nei piccoli gesti dell’uomo comune, che resiste, che non vuole ammalarsi del Virus A, che, come un piccolo sassolino in un ingranaggio impazzito, potrebbero fermare questa macchina che sempre più velocemente corre verso il baratro. Perché alla fine dipende da noi, anche se minoranza, e dalla parte del torto.

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