Les Trois Tetons
Songs about Lou
Il problema è nascere con un cuore rocknroll a Varazze, placida cittadina della rivera ligure di ponente, certo più famosa per i gelati ed il mare che per le Stratocaster. Allora, se ti succede, il meglio che puoi fare è tenere duro, portando le tue canzoni ovunque sia possibile e magari sperare che passi dalla tua città qualche vecchia gloria per misurare il tuo live act. Capitò, qualche anno fa, a Les Trois Tetons , con i Nine Below Zero, alfieri del rock blues inglese anni ottanta, e il tutto finì, in riva alla spiaggia, a cori di Brown Sugar.
Vietato mollare, però, anche se i palchi sono quelli di qualche pub della Liguria o Lombardia anziché di Londra o Memphis, ed in questo senso Les Trois Tetons sono dei veri maestri. Nati agli albori dei novanta come cover band degli Stones, nel 2014 sono arrivati al sesto album in proprio , mettendo in carniere anni di sfrenate esibizioni dal vivo, dove la loro carica è davvero torrenziale e le durate dei concerti, fra amate cover e pezzi originali, tendono a quelle di Springsteen. Songs about Lou è la loro opera più matura sotto il profilo compositivo, una sorta di concept album come si faceva un tempo, con tanto di Overture strumentale che mette subito in chiaro corde ed intenti, e due atti. Il tutto dedicato ad un personaggio di fantasia che, solo per caso, porta lo stesso nome di Lewis Allan Reed, scomparso proprio durante le registrazioni dei quindici pezzi, ed al quale il disco ha finito per essere dedicato. In scaletta Les Trois Tetons (in realtà sono quattro, Alberto al basso, Barbon alle chitarre, Zac a vocals e telecaster e Davide alla batteria, con ospiti Fabio Biale al violino e Mazzi al tampura) mettono una buona porzione dello scibile rocknroll che costituisce il loro linguaggio di riferimento da sempre, partendo dalle pennate secche alla Clash di Mister Lou, uno dei pezzi migliori della raccolta, che introduce il personaggio della narrazione, alzando poi la temperatura con il punk nroll di Hey girl per planare in territorio ballad con Green is the dream ebbra di aromi west coast . Dopo lhard rock di Leaving, si gira metaforicamente il disco e I wont be back for Christams è una limpida ballad country arricchita dal violino, mentre fra gli altri centri si possono annoverare la psichedelia di Wide Mouth ed il blues scuro e tribale di Throne made of bones, dominato dallarmonica.
In altri casi si sente un po la difficoltà a sviluppare in composizioni dalla precisa identità le idee che devono avere popolato gli studi Punto dincontro Italo Calvino di Loano dove Songs about Lou è stato registrato: capita in Weeping willow con la sua strana intro prog, nel dittico Midnight crisis/Breaking point di impronta vagamente teatrale, e in Asphaltnacht , che spreca in un ritornello poco incisivo e nelle asprezze della lingua tedesca una bella narrazione alla Born to run. Molto meglio quando si rimane su territori familiari, come quelli di Peculiar, popolati dal ritmo e dalle chitarre acide, oppure sulle dolci onde vocali della finale Long fingered hands, quasi una dichiarazione damore alle ballads dei Rolling Stones.
Se passate da Varazze questestate, date unocchiata alle locandine: magari fra un invito in discoteca ed una festa in spiaggia potrebbe capitarvi di imbattervi ne Les Trois Tetons. E sarebbe sicuramente una grande festa rocknroll.
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