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R Recensione

7/10

N.A.N.O.

I racconti dell amore malvagio

Emanuele Lapiana è senza ombra di dubbio una delle voci più belle del rock italiano. Già alla guida dei C|O|D (tre ottimi dischi all'attivo tra il 1997 e il 2005, inspiegabilmente rimasti senza successo pur avendo alle spalle una major) si ripresenta oggi con il secondo capitolo della sua nuova avventura a nome N.A.N.O.

I temi trattati da questo nuovo lavoro rispecchiano il titolo. Sono infatti in massima parte racconti d'amore, ma mai di un amore banale o a lieto fine, qui si parla di amori malvagi, deviati, quando il confine tra l'amore e l'odio è talmente sottile che passarci attraverso è un attimo, come in 54g con il suo intro di piano e voce (non ti posso più difendere da me, ti faccio tutto il male che c'è) e un gran spolvero di chitarre nel finale, o in Brainstormo (ho così fame che mi sto mangiando da solo, ho ali così grandi che non spicco più il volo, non avere nessuna pietà di me, abbattimi), e in Il nuovo me, autobiografica e amara (il nuovo me ha passato molti esami, e non ha più bisogno di te che lo perdoni), con piano e suoni elettronici e la voce recitante di Max Collini.

Oppure l'amore raccontato in Cuoricino (ti afferrerò se cadi, ti abbraccerò se voli), in cui predominano i suoni acustici (chitarra, mandolino, mandola, oud, tamburello). Una splendida canzone d'amore, quasi un Battisti degli anni zero, con suoni etno e un intermezzo rap, e una coda piuttosto velenosa (esco a comprare un paio di bretelle, mentre l'Italia intera consacra i Baustelle, e in quell'Italia intera troviamo i nuovi alternativi, il Santo padre, le suore, le carceri stracolme, le fabbriche cinesi, Fiorello) Grande il finale in crescendo. Uno dei vertici del disco. Ma anche l'amore che sembra indistruttibile e invece finisce, come nella conclusiva La città. (stavo guardando il nostro amore morire, io che lo credevo invincibile, grazie per come mi hai tradito). In E.M.I..

Troviamo l'amore, il tradimento, la gelosia (lui ti fa del male ma ti fa sentire viva). Piano e suoni elettrici per un lento d'atmosfera dal grande testo e ottima interpretazione, con  un bel coro in sottofondo che accompagna la voce di Lapiana, e la chitarra elettrica che entra nel finale. Il buio è invece il buio interiore, il buio della solitudine di un amore finito (mi sento fragile, mi sento niente senza di te). Molto bello l'uso degli archi accostato al suono elettrico del mandolino distorto, così come risulta perfetto l'accostamento delle due voci maschile e femminile (ospite Sara Mazo). Il brano si chiude con la voce recitante di Max Collini (Offlagadiscopax) in un breve ricordo di gioventù: Testacoda. La gioventù ritorna in Y. Con un intro con voce e piano, a cui segue l'ingresso della chitarra elettrica e poche percussioni, e Pacifico ospite alla voce, è cantata quasi sottovoce, in tono confidenziale, e dotata di un testo dai temi impegnativi (la gioventù e il passare degli anni, con tanto di citazione iniziale dal Lorenzo il Magnifico). E' certamente coraggioso intitolare un brano con il nome di uno dei più grandi autori del '900. Cohen, con il suo intro per piano e voce, è una preghiera, un invocazione a Dio, e anche un atto d'amore estremo (lei è così piccola, prendi me) costruita tutta con suoni acustici e ricercati (oboe, ottoni, arpa, glockenspiel). Molto coraggioso anche lo sfogo di Io accuso, in cui Lapiana sceglie una veste punk rock per raccontare il fallimento della generazione del '68, così come già fece il Giorgio Gaber de “La mia generazione ha perso” (che però quella stagione aveva vissuto in prima persona) a cui si ricollega idealmente. In realtà non è andata a finire esattamente come racconta Lapiana: sessantottini, figli di papà che hanno ucciso innocenti, preso il potere, generazione di baby pensionati che ha abbassato lo sguardo di fronte alla mafia. No caro Emanuele, non è andata così, e lo dimostrano i molti ex sessantottini uccisi dalla mafia (da Mauro Rostagno in poi). Un testo che farà certamente discutere, ma la frase finale (il nostro paese è in queste condizioni, è ora di togliervelo dalle mani) è pienamente condivisibile. Lo squalozecca è un ritratto crudele e sarcastico (la zecca è sempre molto generosa, però non ha pietà) giocato su suoni elettronici debitori della new wave italiana anni '80 (azzardiamo un nome: Diaframma?) che non a caso calzano a pennello alla voce del grande Federico Fiumani.

Temi forti, difficili da trattare senza cadere nel banale, che Emanuele Lapiana sviluppa in testi brevi, pungenti, profondi, con un linguaggio ricercato ma non elitario, rivestendoli di musica all'altezza della situazione, tra rock e pop d'autore. E su tutto, la sua voce, splendida e emotivamente intensa.

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