One Dimensional Man
A Better Man
Lamavi esattamente così comera e come sarebbe diventata, ne avresti adorato i naturali cambiamenti nel corpo e nella pelle, lavresti sposata senza remore: la donna della tua vita. Bella a ventanni, fiera e selvaggia, a trenta, leggiadra e viva, a cinquanta, tenace e sensuale, a ottanta, sorridente e saggia. Non avevi previsto quella aberrazione posticcia, una mastoplastica additiva gonfia di silicone e insincerità. Quello che per lei è stato un atteso regalo, per te diventa un principio di disamore e rifiuto, non tanto (e non solo) estetico, ma cerebrale, empatico: un intimo tradire. Quella donna si chiama One Dimensional Man, e il suo aspetto attuale con tanto di protesi è, nella forma e nella sostanza, questo A Better Man.
Perché un conto è tentare di esplorare nuovi territori, battere nuove strade, assecondare il proprio talento a scapito di sicurezze stantie (la svolta pop degli Afterhours, le sbornie psych dei Verdena, per restare in Italia), un altro conto è ripresentarsi dopo sette anni di silenzio con un quintale di trucco in faccia e i tacchi a spillo fosforescenti: diamine, non sei più tu. E dire che a ben sentire, a scavare profondo, a A Better Man non mancano gli attributi e neppure le canzoni, ma restano ambedue sotterrati da una spessa coltre di melma laccata doro per loccasione: un disco patinato, iperprodotto, pericolosamente radiofonico (nellaccezione meno positiva del termine).
Fly e This Crazy possono ricordare le sperimentazioni del progetto Beautiful (e sarebbe accettabile se ignorassimo il carattere giocoso e totalmente estemporaneo di quellalbum), che però qui restano fini a sé stesse, barricate dietro unapparenza allettante che di rado coincide con il contenuto: tappeti electro, aperture rabbiose prese in prestito dai Nine Inch Nails, qualche tocco di sguaiatezza alla Aerosmith. Ritornello facile, tormentone assicurato. Gonfio e grasso il crossover di Ever Smile Again e The Wine That I Drink (in cui cè molto dellultimo T.d.O.), poco più interessante quello alcolico e caracollante di This Hungry Beast (suonata con gli Aucan), al pari della chitarristica A Measure Of My Breath (ospite qui Justin Trosper degli Unwound), che si priva di velleità per acquistare in nerbo. Non malissimo Too Much, solo voce (ovviamente trattata, ma perché?) e basso, fa venire alla mente i demo di Conor Oberst a inizio carriera.
Va meglio nei pezzi più tetri e scheletrici: la title-track in apertura, a due voci con la partecipazione di Katla Hausmann e un pianoforte contaminato, il reprise ancor più lugubre della stessa title-track, Ever Sad, con il solo Capovilla alla voce e impreziosita dal violino di Rodrigo DErasmo. Buona la cover di Scott Walker Face On Breast, trasognata ma vibrante (e finalmente convincente), e la toccante poetica della finale This Strange Disease. Ecco, un ep di quattro pezzi, gli ultimi citati, avrebbe fatto gridare al miracolo e sperare in un ritorno a grandi livelli sulla lunga distanza. Peccato.
Pierpaolo Capovilla, Giulio Ragno Favero e Luca Bottigliero (i tre One Dimensional Man) si sono avvalsi della collaborazione di Rossmore James Campbell, fantomatico pittore e poeta australiano, autore peraltro di tutti i testi, Richard Tiso, Eugene Robinson degli Oxbow, Sir Bob Cornelius Rifo di The Bloody Beetroots, lo stesso Gionata Mirai de Il Teatro Degli Orrori, Enrico Gabrielli dei Calibro 35, Jacopo Battaglia degli Zu (che doppia la batteria di Bottigliero in Fly), oltre ai già citati Justin Trosper degli Unwound, Rodrigo DErasmo degli Afterhours, Francesco DAbbraccio degli Aucan, Katla Hausmann. Se storcete il naso o avete un po di affanno, aspettate di ascoltare A Better Man, e sperate sia soltanto la sbandata passeggera (chè le protesi non sono mica eterne) di una carriera sino a ieri inappuntabile.
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