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6/10

San la Muerte

San la Muerte

Disco d’esordio per questo nuovo progetto messo in piedi dal vulcanico Leo Pari, cantautore sui generis, con due dischi da solista alle spalle, collaborazioni con Greenpeace per il progetto “Artisti Uniti Contro il Nucleare” e con Beppe Grillo, che ha scelto un suo brano come sigla per il V-Day. Per i San La Muerte il compagno di strada scelto da Pari è il chitarrista Renzo Fiaschetti, un musicista dal suono molto americano, tra rock blues e country.

E il rock americano è ben presente in questo disco, registrato non a caso tra Roma e Los Angeles quasi in presa diretta, e dedicato al santo messicano protettore di chi per lavoro rischia la vita, ed anche dei reietti, di chi vive ai margini. Denso di storie blues fin nell’animo, di murder ballads, e di suoni sporchi e scuri.

La parte più americana del disco la troviamo in The Donor. Dotata di un’intro country blues, cantata in inglese, la canzone si apre nel suo svolgersi, diventando un brano arioso nel ritornello. Qualcosa ricorda i Dream Syndicate, soprattutto nel finale con la chitarra distorta. Il suono classico americano con chitarre e rock blues a tutto spiano lo troviamo anche in Una donna in due, e in Mr. Even, con un ottimo assolo di chitarra, e in Ghost and Machines, ancora un  rock blues con un gran bel testo, molto originale, e la chitarra solista di  Renzo Fiaschetti a farla da padrone.

Ma in mezzo a tutti questi suoni americani, la matrice italiana, pur se a volte nascosta tra le righe, si lascia intravedere. E così Viva San La Muerte è un pezzo in cui ritroviamo qualcosa che sta tra Giorgio Canali e Ivano Fossati, e in A Still Infinite Sunshine, un brano rock dalle atmosfere vintage, molto ritmato, il cantato sembra quasi richiamare addirittura il grande Battisti, mentre Domani smetto è un rock and roll che nel testo deve qualcosa agli Skiantos, e con Il duello, il brano più lento del disco, siamo molto vicini alla canzone d’autore rock.

A parte questi casi, è certo comunque che ci sono pochi esempi in Italia di rock così fedele alla sua matrice originaria, come dimostra Il richiamo, con un’intro di chitarra splendida. Un grande brano, con delle ottime chitarre e la perfetta interpretazione di Leo Pari. Oppure Terra sotto I piedi, ancora un rock blues veloce cantato in italiano, Rock in italiano così lo hanno fatto in pochi, a parte Ivan Graziani.

Chiude Roman blues, un blues lento, con un cantato quasi rap e un testo molto interessante ed originale sulla decadenza della società contemporanea, con una sottile ironia pungente nascosta tra le righe.

Un disco di rock sporco, debitore molto al rock blues classico americano, con le sue storie assurde e devianti, e con testi originali e per niente scontati.

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