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7/10

Stereophonics

Graffiti On The Train

Strano il destino musicale degli Stereophonics, una delle più titolate e dotate bands di rock - brit pop, in attività da una decade con all’attivo una cospicua discografia: 8 dischi, una raccolta di singoli ed un live. Non hanno mai avuto successo e fortuna nel bel paese: non proprio esaltante infatti la loro popolarità in Italia rispetto ad altre bands loro contemporanee, Oasis prima di tutto. Ai tempi di Have a Nice Day nel 2001 e successivamente Maybe Tomorrow nel 2003, la loro italica popolarità riusci, è vero, ad impennarsi ma in generale poco seguito. In madrepatria invece, Galles ma non solo, hanno attecchito parecchie volte con i loro lavori divenendone una band seminale.

C’è anche da dire che a causa di taluni episodi opachi si è rischiato più volte il dimenticatoio musicale. Un paio di album non memorabili stavano di fatto accrescendo la sensazione di fase discendente e di ridimensionamento ... ma dalle polveri si tende spesso a rinascere e il nuovo album, l’ottavo, giunto all’alba del 2013 è crocevia proprio tra la rinascita e la caduta.

Scopriamolo meglio.

Corroborato dall’ascolto di Graffiti on the Train va sottolineato che ci troviamo di fronte al loro album più maturo, cupo e malinconico. Lo suggeriscono le liriche, finissime nella nel loro intimismo poetico, lo assaporiamo nel cantato,denso e lineare come mai finora, lo ravvisiamo in idee melodiche e spunti interessanti. È La voce ruvida e pastosa di Kelly Jones, sempre ad alti livelli, che dopo tanto peregrinare, cristallizza un sound di una band consapevole delle proprie potenzialità. Regredisce di fatto il rock muscoloso delle origini, sparisce la magniloquenza delle ultime produzioni, fanno irruzione arrangiamenti compositi, spaziano gli archi, i tempi si dilatano.

Tanta carne al fuoco ma cucinata davvero bene. L’opener We Share The Same Sun è una ballad avvolgente ed appassionata. C’è da dire che mai la band gallese ha fallato un’introduzione. Buone sensazioni si ripetono nella successiva Graffiti On The Train, canzone impeccabile e ritornello trascinante. A guidare e pilotare gli arrangiamenti c’è David Arnold, il responsabile delle colonne sonore alla base delle avventure cinematografiche di James Bond/007 e la canzone ne acquisisce allora spessore da instant classic. Indian Summer è il singolo di traino che convince e piace nelle sue aperture pop, mentre Take Me è una dark ballad con tanto di duetto con la fidanzata di Kelly.

A metà del disco giunge il rock, con un forte accento Foo Fighters, di Catacomb, niente di trascendentale. Il livello si innalza invece con la successiva Roll the Dice. Inizio soft con voce e chitarra per poi spingersi via, via verso un rock maggiormente marcato. Il tripudio finale di archi ne accrescono il valore..Violins and Tambourins si contraddistingue come pezzo lento e riflessivo, mentre il  blues-soul di Been Caught Cheating risulta davvero niente male. Il singolo In a Moment funziona e si distende attraverso melodia e ritornello che fanno molto specialità della casa mentre No-one’s perfect è il sipario soft e delicato a conclusione del disco.

Alla ricerca di nuovi accoliti dal bel paese, Kelly Jones vi porge i suoi saluti.                                    

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