The Letter Yellow
Walking Down the Streets
Un disco su New York. Questo l'intento di Randy Bergida e dei suoi The Letter Yellow, trio di Brooklyn dedito ad un guitar-pop a stelle e strisce. Un disco urbano che aggira la contemporaneità proponendo un sound classico, ancora più devoluto e standard rispetto a quello della vecchia band di Bergida (Skidmore Fountain). Come dei Local Natives senza ambizioni arty, i Letter Yellow, con il loro Walking Down the Streets, danno vita ad un lavoro pulito e scorrevole, anche se ancora piuttosto acerbo.
Certo, la partenza è promettente: Changed è fenomenale nel suo incedere deciso carico di pathos, tra luccicanti trame chitarristiche e una sezione ritmica che non molla mai la presa, facendo avanzare la composizione senza cedimenti. Un pezzo che non trova però nessun degno avversario lungo la tracklist. Brani pur aggraziati come il jangle di Hold Me Steady, le armonie ovattate di I Can't Get A, il folk rock alla Fleet Foxes di Hoorays He's Not Dead, l'uptempo brioso di It's Monday and I'm Dreaming, o le andature jazzy di I Got You si mantengono su un livello decoroso senza mai però andare oltre. Un sound composto, pulito, ma che sembra essere estraneo ai migliori sviluppi contemporanei, appiattendosi su una sorta di pub rock all'americana.
Tutto questo senza contare i pezzi deboli del lotto: blues classici che non si capisce perché siano finiti in scaletta (14 Bar Blues, completamente stonato rispetto al mood dell'album), blandi brani jazzy (Hope Street) e ballate country senza troppo nerbo (Window).
Non rimane che il filo rosso tratteggiato dalle pur buone liriche, tutte incentrate sulla Grande Mela, ad aggiungere valore al lavoro della band di Bergida, che si avvantaggia dello status -pur flebile- di concept album (vantaggio materializzato in una certa linearità e coerenza del prodotto finale). Ma non basta: per ora questo Walking Down the Streets rimane una dichiarazione d'intenti e poco più.
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