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R Recensione

7/10

The Twilight Singers

Dynamite Steps

Greg Dulli può essere definito senza dubbio uno dei migliori perdenti dell’era grunge (insieme all’amico fraterno Mark Lanegan), nel senso che ne ha fatto parte fin dall’inizio, spiccando per qualità e originalità, senza riuscire però a trarne successo commerciale. Leader degli Afghan Whigs, band che tra le prime a fine anni ottanta cercò di unire i suoni della nuova generazione rock, all’epoca definita grunge, con i suoni della musica soul, Dulli con quella band fece due dischi per l’indipendente Sub Pop, poi il salto nel mondo delle major discografiche, quando il fenomeno grunge era all’apice, con un disco di cover di soul e r&b. Infine una serie di dischi sempre di livello qualitativo elevatissimo, ma che si allontanano sempre più dalla moda del momento, spostando il baricentro della loro musica verso il soul.

Persa la strada del successo commerciale che arrise alle altre band del periodo, dalla fine degli Afghan Whigs, Dulli ha ripreso il suo side project Twilight Singers, e intavolato una serie di collaborazioni geniali e sorprendenti, e sempre riuscitissime.

Oggi, a distanza di cinque anni, torna sulle scene con i Twilight Singers, e ancora una volta fa centro pieno, presentandoci quello che potrebbe essere il disco perfetto della sua carriera, il disco che racchiude in sé tutto il meglio fatto dagli esordi degli Afghan Wighs ad oggi.

Già dall’apertura di Last Night In Town Dulli non fa prigionieri: intro piano e voce (e che voce!), e poi un colpo secco ed entra la band, la voce accelera, la batteria martella, fino all’esplosione, per quello che potrebbe essere  un canto d’amore ma anche una richiesta di aiuto disperato.

Con Be Invited il ritmo rallenta, e Dulli, che qui suona quasi tutto, ci porta in mezzo ad una ballata molto soul e dark, con la voce dell’amico Mark Lanegan a doppiare la sua, mentre la seguente Waves ci riporta ai tempi degli Afghan Whigs: un basso ipnotico apre la strada ad una chitarra lancinante che ci conduce in un inferno elettrico, nelle acque fangose del Mississippi (quel Muddy Water che apre il testo non può essere casuale, o no?). Un vortice di suoni elettrici che porta Dulli lontano dal lato più soul della sua musica, e molto vicino agli inizi del periodo grunge.

E non è l’unico brano in cui riemerge l’amina più rock di Dulli. La ritroviamo infatti anche in On The Corner, un brano molto elettrico, tirato, cantato alla grande da Dulli.  Colpisce in particolare come la sua voce sembri ancora quella di un ragazzino incazzato alle prese con il suo primo disco, ma quest’uomo sono più di venti anni che propone grande musica. Brano convincente e coinvolgente. Grande rock. Altrove ritroviamo invece il Dulli delle grandi ballate, che possono essere spinte più sul soul, come in Get Lucky, strutturata su piano e voce, con ottimi inserti di violino e cello, o sul rock, come Gunshots, con ospite alla voce Joseph Arthur, una classic rock ballad alla Dulli, con il suo tipico crescendo travolgente, che esplode in un vortice di suoni, per poi spegnersi di colpo.

In tema di duetti, approvato a pieni voti quello apparentemente più strano con l’amica Ani Di Franco in Blackbird and the Fox, con la bravissima folk singer alla voce che fa il controcanto, ed un bellissimo solo di chitarra finale. Due minuti di pura energia.

Ma davvero tutti i brani meritano una citazione, da She Was Stolen, con il suo intro al pianoforte che sostiene ritmicamente tutto il brano costruito sulla progressiva stratificazione degli strumenti che entrano uno alla volta, all’atmosfera dark di Never Seen No Devil (Joseph Arthur e Petra Haden ospiti alle voci), a The Beginning Of The End, un brano quasi gioioso, energico, con Dulli che passa dal falsetto alla voce roca e bluesy alla Graham Parker e un ritornello da cantare a squarciagola.

Chiude Dynamite Steps: un brano in stile classic rock con la band che gira a mille al servizio della solita, grande voce di Dulli.

Il disco è stato registrato tra Los Angeles, Joshua Tree e New Orleans, e probabilmente i diversi ambienti hanno influenzato le atmosfere dei brani di un lavoro che forse non porta niente di nuovo nella poetica e nello stile di Dulli, ma che di sicuro è un lavoro di gran classe, pura e cristallina. Un disco che mischia le tradizioni bianche e nere della cultura americana come pochi oggi sanno fare, e con uno stile davvero inimitabile, qualità che si può dire solo dei grandi artisti.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 11 voti.
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giank 9/10
brian 6/10
Teo 7/10
ciccio 5/10
REBBY 7,5/10

C Commenti

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DonJunio (ha votato 7 questo disco) alle 16:31 del 18 marzo 2011 ha scritto:

Ritorno di gran classe, Greg Dulli non tradisce mai.

swansong (ha votato 8 questo disco) alle 16:52 del 18 marzo 2011 ha scritto:

WoW!

La classe non è acqua..

REBBY (ha votato 7,5 questo disco) alle 8:30 del 23 giugno 2011 ha scritto:

"il disco che racchiude in se tutto il meglio fatto dagli esordi degli Afghan whigs ad oggi".