Thin White Rope
Moonhead
“Moonhead said i’d never get away, moonhead said i lived for yesterday…” La lunga ombra del grande John Cipollina e dei suoi Quicksilver Messenger Service giunse fino agli anni Ottanta del Paisley Underground, magnifica scena neo-psichedelica che aveva nei Dream Syndicate, Green On Red e Thin White Rope gli esponenti migliori di quel rock desertico allucinato dal sole rosso della California. Erano i pronipoti dei ruvidi cantastorie che vagabondavano con carovane di “medicine show” le città fantasma della vecchia frontiera americana (ma quella antiretorica di Sergio Leone, piuttosto che la Monument Valley dell’elegiaco John Ford), gruppi forgiati dalle polverose cavalcate elettriche dei citati Quicksilver, Red Crayola, Neil Young e di Jorma Kaukonen dei Jefferson Airplane.
In questo contesto di lisergica epopea western i Thin White Rope prendevano il nome da una curiosa metafora di William S. Burroughs sul seme maschile, e nascono a Davis nel 1984 intorno al nucleo principale formato dal chitarrista Roger Kunkel con il vocalist e autore Guy Kyser, un Bukowski post-punk vissuto all’ombra di cactus e tequila che raccontava di torbide questioni borderline e donne infami. Il notevole “Exploring The Axis”, uscito per l’indipendente Frontier Records, contribuisce a diffondere il culto del cavernoso Kyser attraverso un immaginifico e viscerale rock psichedelico ibrido ai vortici esistenzialisti dei Television, lasciando sulla sabbia bollente un suono velenoso di serpi a sonagli e banditi in fuga. Altrove, "Down In The Desert".
“Moonhead” è l’atteso second-coming autoprodotto nel 1987 con Paul McKenna, e registrato insieme agli scudieri Josef Becker alla batteria e Stephen Tesluk al basso. Un album cardine per i quattro cavalieri californiani, che si riserverà il ruolo nella peraltro immacolata discografia TWR di crocevia perfetto e compiuto, un luogo d’arida psichedelia dove gli avvoltoi dell’odissea freak di “El Topo” pranzano sulle carcasse del più mistificatorio country-rock in circolazione. Nelle terre desolate di “Testaluna” lo straniero senza nome vagheggia solitario al confine del New Mexico, il calore gli brucia lentamente la pelle e quel poco di anima rimasta intatta. Le acide ferite elettriche di Kyser sono incise nella carne e negli incubi claustrofobici dell’opener “Not Your Fault”, dilaniate da quell’arpeggio lancinante così peculiare e dolente (di uno che tra qualche anno saluterà tutti per fare il botanico, un grande). “You are alone but you are not free” ripete il mantra maligno nella testa, perché devi ancora trovare un posto in cui non ci siano padroni, un’abitudine che paghi a caro prezzo con la famiglia di Ramòn Rojo.
Il sudore che scivola via salato scolpisce le pieghe di dolore sul viso, e resta l’unica stupida speranza che può ingoiare un reietto durante il jingle-jangle fuorilegge di “Wire Animals” (gli Stones via Peter Buck di “Driver 8”) e le meditabonde trame acustiche dell’oasi-miraggio “Thing”. Nei vuoti e pieni della traccia omonima un The Edge in anestesia cicatrizza l’incipit dimesso e impressionista, una falsa quiete che finirà presto crivellata sotto i colpi mortali di un’orgia hendrixiana e delle fiammate sui tamburi di Becker. La catarsi psycho-rock di “Wet Heart” è un affilato mistero femminile che preme forte sul "cuore umido" dello straniero Joe, un gioco al massacro tra poveri diavoli che non troveranno mai redenzione, ma solo il rumore sordo della disfatta.
L’orco Guy e la sua gola di filo spinato distillano un’alcolica disillusione deviata da feedback recalcitranti e foschi paesaggi (il basso stentoreo che apre “Mother”, l’amara e imperiosa “Crawl Piss Freeze”, il furore blasfemo del Lemmy esorcizzato da Willie Nelson nel sanguinante boogie-rock’n’roll “Come Around”), un golgota di angeli e demoni che taglia il tuo respiro malato, e sembra trascinarti verso una fine indegna anche per il più gran bastardo con gli occhi stretti come lame. La musica dei Thin White Rope lascia un sapore acre in bocca, quel sapore secco che lo straniero col sigaro conosce bene, mentre cerca un rifugio aspettando la notte. E con un “Sack Full Of Silver” pronto a far fuoco nel caricatore del revolver. “…Moonhead said my girl was gonna die. I’m going to kill moonhead tonight, allright…” Quando vuoi uccidere un uomo bisogna mirare al cuore, sempre.
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