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R Recensione

7/10

Vittorio De Scalzi

Gli Occhi del Mondo

C'è un disco del 1968 che molti giovani appassionarti di rock e canzone d'autore (e di Fabrizio de André) dovrebbero riscoprire: “Senza orario e senza bandiera”, opera dei New Trolls. Quegli stessi New Trolls la cui voce e autore principale era, ed è, Vittorio De Scalzi. De André in quel disco ricoprì un inedito ruolo di tramite tra le poesie di Riccardo Mannerini e le musiche di De Scalzi e di Nico di Palo, creando un opera scritta a tutti gli effetti a sei mani.

Quando alcuni anni fa vennero ritrovate delle poesie inedite dello scomparso Mannerini, De Scalzi pensò che poteva essere l'occasione buona per riprovarci. Ma ottenute le poesie dagli eredi del poeta genovese, dopo alcuni mesi di lavoro, si dovette arrendere all'impossibilità di trasformare quelle poesie in canzoni. Evidentemente mancava il tramite di De André. E' qui che entra in gioco Marco Ongaro (cantante, autore e musicista), e in pochi giorni la magia si ripete.

Il risultato di questo incontro è Gli occhi del mondo, un disco splendido, che rilancia uno dei migliori autori e musicisti della storia del rock italiano, nonché una delle sue voci più belle. Un disco che nella sua prima parte sfiora il capolavoro, con brani che passano dal jazz al country, dal rock di stampo americano al pop inglese anni '60. 

Il disco si apre e chiude con due versioni diverse de Il ritorno. La prima con una cadenza jazzata, sostenuta da chitarra e violino, cantata benissimo, con qualche vago richiamo agli anni '70, ma appena accennato; la seconda molto più rock, con suoni pieni, e un solo di chitarra infuocato che chiude il disco. Un testo molto crudo cui fa da contraltare una musica quasi allegra.

Dopo questa ottima apertura, troviamo il primo vertice del disco, Gionata Orsielli. Con un intro country, il mandolino e la steel guitar (di Paolo Bonfanti) in prima fila, il brano è una murder ballad splendida, in cui si racconta di un omicidio spinto dalla gelosia. In pochi in Italia sono capaci di calarsi in modo così profondo e credibile nello spirito della musica rock americana. Sarà un caso, ma un altro dei brani più belli del disco è ancora una murder ballad, in cui il protagonista è un vero e proprio Serial Killer. Un fischiettare allegro introduce il brano, intriso di grande american rock, dove spicca la slide di Bonfanti. Di nuovo troviamo il contrasto tra una musica sostanzialmente allegra e un racconto tragico.

Un altro dei vertici di questo disco è senza dubbio Tante gocce. Un testo forte, che racconta il suicidio dell'amico Luigi Tenco, Il racconto di un suicidio, da parte di chi ha vissuto in prima persona la perdita di un amico. De Scalzi al piano, synth e chitarra, accompagnato solo da viola, violino e violoncello, riesce a ricreare un suono  molto anni '70, ma soprattutto ci regala un'interpretazione emozionante, toccante, notevolissima.

Tra i tanti suoni di questo disco, non mancano l'english pop anni '60 alla Beatles di Isabella Egglestone, e il folk di Senza una voce, con mandolino, thin whistle e cornamusa. Un testo lucidissimo sul colonialismo e l'emigrazione, senza retorica, e con la visione delle cose che solo i grandi poeti sanno avere. Una grande interpretazione di De Scalzi, che anche in L'ultimo altare (un testo splendido) si dimostra cantante versatile e dotatissimo.

Nella seconda parte del disco, troviamo i riferimenti più espliciti al rock dei '70, in La corte e soprattutto in 12 pescatori, dove sembra quasi di sentire qualcosa di Jesus Christ Superstar, e anche brani più d'atmosfera, come Martina di marzo, un lento jazzato con un bel solo di chitarra, e Gli occhi del mondo, brano per sola voce, pianoforte e archi.

Il disco si completa con il volume Il sogno e l'avventura, raccolta delle poesie di Mannerini, imprescindibile per capire la grandezza di questo poeta, e per scoprire la radice di molte delle idee di De Andrè, che non a caso definì Mannerini una delle figure più importanti della sua vita.

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