Exit Verse
Exit Verse
Vi avevamo raccontato di Exit Verse qualche tempo fa, in una nostra intervista a Geoff Farina, leader di questo nuovo progetto a tre, partito con John Dugan alla batteria (Chisel, Edsel) e Pete Croke al basso (Brokeback, Tight Phantoms), nel frattempo proseguito con lavvicendamento di Chris Dye alla batteria.
Geoff Farina, già leader dei leggendari Karate, da tempo ormai (dal 2005, per la precisione) aveva quasi del tutto abbandonato la chitarra elettrica, anche a causa di fastidiosi problemi alludito, per dedicarsi a numerose altre avventure di aria prettamente jazz, avant-jazz, folk-rock e blues, inclusi i nostri Ardecore.
Il ritorno alla musica tosta quindi, non poteva che essere salutato con attenzione, con quella scimmiesca curiosità di verificare quanto e cosa del passato fosse rimasto nel suono di Farina. Il primo brano lanciato in anteprima, Seeds, subito liberò la tentazione di sottolineare una forte somiglianza con il periodo doro dei Karate. Lo stesso Farina caveva confermato che in quel pezzo (ma solo in quello, ci disse), cera una forte impronta del sound di quel tempo. Riflesso incondizionato però, non voluto, semplice corollario di un naturale quanto banale dato di fatto: Geoff Farina alla voce e alla chitarra elettrica, un trio rock dalle movenze lente e rudi. Insomma, come dire, ça va sans dire.
Il resto dellalbum, tutto su livelli buoni, è invece una chiara e viscerale virata verso un rock blues classico, dal suono forte, lineare e pulito, come sono potenzialmente bravi tutti a fare. Il rock angloamericano degli anni 70 (gli Stones, Big Stars, ZZ Top), il rock americano degli anni 80 (Dream Syndicate), il rock americano dei giorni nostri (chenesò, i Baseball Project (?)). Lansia, la rabbia, la sperimentazione, leccessiva elucubrazione mentale e sonora dei tempi doro, sono qui dei lontani ricordi.
Prendiamo ad esempio Fiddle & Flame, emblema secondo me di questo nuovo corso nella carriera di Geoff Farina e soci (ma discorso simile varrebbe pure per Under the satellite, Chrome, Perfect Hair). Rock blues tiratissimo, veloce, chiaro, fresco, grintoso, ammiccante, di quelli che la tettona americana, tutta tatuata, leggermente in carne, balla nel pub della periferia rozza in preda ai fumi dellalcol. Suoni che non taspetteresti da uno che, a ridosso del 2000, ha destrutturato i codici musicali del rock (e del jazz, e dellhardcore), arrivando a condensare in un ep, Cancel/Sing, la perfezione, la summa, di quello slowcore di respiro jazz di cui i Karate furono fieri portabandiera . Momenti più riflessivi, ma mai troppo in realtà, sono poi The Bond e Silver Stars.
Non è più quindi la testa a comandare, ma il cuore e listinto delle membra asservite alle tentazioni terrene. Scientemente questa volta, come ci raccontava lo stesso Farina, spiegandoci la sua attuale volontà di ricercare, con gli Exit Verse, il divertimento puro, quello che viene fuori quando puoi permetterti di staccare lo sguardo dalla tastiera della chitarra e godere del suono, del ritmo incalzante, di scherzare, mentre suoni, di fare tutto quello che il cervello ti richiede quando non vuole pensarci troppo sopra ma vuole solo suonare e ascoltare della buona musica. Quella che, almeno questa stavolta, non hanno inventato loro, ma che se sono loro a fare può pure essere, in parte, unaltra musica.
Un dieci (10) a Farina per aver ripreso la chitarra elettrica, un otto (8) per il divertimento, quello loro e il nostro, un cinque (5) per loriginalità. Un più che dignitoso sette (7) al disco desordio, omonimo, degli Exit Verse.
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