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R Recensione

7/10

Mr. Kilgore

MozzoNostromoCapitano

Una bottiglia verdognola incrostata di conchiglie, rinvenuta in questo porto ormai dismesso, un messaggio al suo interno, paradosso olezzante di sale e di metropoli, presente e passato, solitudini e cazzeggio. Un mozzo, un nostromo e un capitano solcano acque d’asfalto dondolandosi su un vascello a benzina verde, venti immaginari gonfiano vele logore, ciò che resta di una realtà sbrindellata.

È una navigazione a vista, divertente e sopra le righe quella che intraprendiamo con i Mr. Kilgore da Parma, band che di italico ha il titolo del disco e poco altro. Nata quasi cinque anni fa come cover-band dei Joy Division, abbandona presto una strada relativamente povera di spunti creativi per affinare un sound personalissimo, figlio di un’attitudine (più cerebrale che altro) stoner-hard, ma pullulante di contaminazioni delle più disparate, dal surf al funk, dal lo-fi alle colonne sonore anni ’70. Incidono come Mr. Kilgore un demo (Camionismo!) e, due anni dopo, questo suggestivo MozzoNostromoCapitano.

Canzoni ricche di metafore piratesche (null’altro che una maschera attraverso cui deformare la realtà quotidiana) quelle di Cama (voce, basso), Genka (batteria) e Canto (chitarra), i quali non ci tengono affatto a prenderci per mano durante la traversata, preferendo farci godere il loro sound barcollante e le onde in faccia in totale anarchica libertà. Avventurarsi in questi solchi significa imbattersi in un ciondolante viaggio alcolico che dai Fall conduce ai Pavement, attraversando le burrasche dei Virgin Prunes e le turbolenze dei Primus. Proprio questi ultimi (ricordate? Sailing The Seas Of Cheese…) vengono in mente in Tortuga, brano che apre il disco con relativa leggerezza (“When waves will start crashing on your heart/Will you drown me in your blue eyes?”). C’è l’andatura dinoccolata dei Clinic di inizio carriera in Alternate Endings, insieme alle splendide repentine invasioni di chitarra, leitmotif del disco, che tratteggiano la rotta con incisività sapiente.

I flutti si gonfiano nel finale furioso di Pirate Superstar, e si surfa che è un piacere sulla formidabile Legs, bella e lunatica gitana d’adozione come la finale Man With A Hat, nella quale ogni tanto fa capolino l’anima hard della band. Mr. Vendetta, dal canto suo, s’intravede nella nebbia cupa della notte, e i nostri l’affrontano rancorosi, col berretto scuro e la rivoltella in tasca: ritmiche serrate, nervose, lunghi squarci strumentali per la più affascinante e pericolosa del lotto. L’album si chiude con una ghost track che attracca al molo da cui eravamo salpati, il dondolio degli ormeggi, il rumore del mare e una chitarra sola che ci racconta del sogno appena svanito, malinconica fine di un viaggio della mente.

Vi dirò la verità, ho bluffato e romanzato per il gusto del cazzeggio. Una tattica che anche i Mr. Kilgore fondamentalmente adottano, su disco come nelle loro spassosissime performances dal vivo. Ma d’altronde, la genuinità e la bravura del cantastorie fanno la storia più della storia stessa. E allora giù il cappello per i Kilgore, bucanieri selvaggi e colorati di una realtà immaginata e impossibile.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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