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6/10

Mondo Drag

New Rituals

I Mondo Drag non sono che l'ennesima band americana che si mette a ravanare nel cestone post-hippie fatto di garage, psichedelia e hard-rock. Non ci si aspetti quindi chissà quale meraviglia da New Rituals, disco spudoratamente rétro che a parte rarissimi passaggi (Fade Out (Into Space) sono Mc5 e Blue Cheer dopo aver scoperto lo stoner) appare saldamente incastonato su un sound ignorante delle rivoluzioni wave-punk.

Nonostante i Mondo Drag non siano poi questa sorpresa rivoluzionaria riescono a realizzare un disco senz'altro migliore ad esempio di Wilderness Heart, ultimo scialbo episodio dei Black Mountain che ha ribassato le quotazioni del gruppo dopo l'incantevole In the future.

New Rituals è pieno di pezzi che avrebbero voluto (e potuto) scrivere i migliori Black Mountain: True visions, Love Me (Like a Stranger), Tallest Tales... Brani che virano tra ballatone heavy-blues a roboanti scariche rock d'assalto, passando per momenti lisergici più rilassati e a luci spente. Nel complesso roba non così devastante, anzi decisamente “di maniera”, eppure di più che graziosa fattura.

Il filone è quindi noto: al di là di qualche episodio minore e trascurabile (Come Through, Light as a Feather) ci si catapulta a rotta di collo nei primi anni '70, come dimostrano i riffoni epici e l'hammond d'accompagnamento di Serpent Shake, o il viaggione fatto di fuzz e riverberi (ma anche di un incisivo heavy-blues) di My, Oh My, stessa roba dei sette minuti finali di Apple, classica sfuriata psycho che non aggiunge niente di nuovo al repertorio.

I momenti migliori e più interessanti del disco si concentrano in realtà in una manciata di brani: l'omonimo New Rituals è un acid-rock che unisce la sfrenata gioia '60s dei più euforici Jefferson Airplane (lo sentite quell'organetto che scatta dopo 1'14''? Non è uguale a quello di Somebody to love?) con l'attitudine garage più tipica di gruppi rétro come Comets on Fire e Gris Gris. Riverberi space, echi di chitarre alla Hawkwind e cantato che tenta disperatamente di riagganciarsi al semi-leggendario Malcolm Mooney, che dava la marcia in più ai Can degli esordi.

Il tutto scorre via che è un piacere, pur senza eccessivi colpi di genio. Più interessante ancora è invece Black River: strumentale che riparte dai tardi Led Zeppelin del periodo Houses of the holy, intensificandone le scaglie psichedeliche con un marchio più orientaleggiante, unito ad una ricerca armonica fresca e leggera. L'effetto è di riascoltare il Jimmy Page dei tempi d'oro. Il che varrebbe da solo il prezzo del biglietto...

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Ivor the engine driver (ha votato 7 questo disco) alle 20:25 del 30 gennaio 2011 ha scritto:

fai bene a dire che a sto punto meglio i Mondo Drag che l'ultimo BM (per quanto i pezzi folk di quest'ultimo non sono male). Però a me non piace neanche Into the Future...Questo l'ho preso in vinile, che anche se ha meno pezzi (come spesso capita nelle versioni LP della Alive Records, maledetti) del cd alla fine risulta meglio. Titletrack e Bllck River sugli scudi.

Alessandro Pascale, autore, alle 20:34 del 30 gennaio 2011 ha scritto:

beh io In The future l'ho adorato. Forse col senno di poi gli calerei di un punticino il votone che gli diedi al tempo, però rimane davvero un gran disco! Questo dei Mondo Drag non ha quello sprint di quel disco, però è hard-rock onesto e dignitoso, con buoni spunti qua e là, tra cui i pezzi che citi