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R Recensione

8/10

Robyn Hitchcock

Love from London

Se, come dice Robyn Hitchcock, le sue canzoni sono “quadri da ascoltare”, proviamo a ribaltare i termini e facciamo “suonare” la copertina , opera , come i dieci pezzi di Love from London, di uno degli ultimi grandi eccentrici del rock inglese, fresco di compleanno da sessantenne.

Sullo sfondo verde acquatico c’è una strana figura, metà uomo metà sfera (sarà uno dei vegetali ai quali il Nostro è tanto affezionato?) che ,come recita il cartello, è il modo in cui Robyn vede la banca. Simbolo dell’odierna società , creatura onnipresente nella vita di ciascuno, malefica entità pronta a fagocitare  tutto nella sfrenata corsa al profitto . 

Ma , nonostante tutto, il titolo recita: “Amore da Londra”, come dire c’è qualcosa di buono anche nella City.  Se sia questo o meno il significato voluto dall’autore non è dato sapere, quel che è certo è la qualità del nuovo album solista del leader dei Soft Boys e artefice di mille avventure tra realtà e fantasia, ortaggi, galline e treni. Il disco  è una raccolta di semplici canzoni che funziona anche, nel tipico stile surreale di Robyn,  come riflessione  su vita e società, senza risparmiare qualche accenno ai guasti che i  tempi odierni causano sull’essere umano,  ed il contenuto musicale è Hitchcock ai livelli migliori, con meno propensione a volare sulle correnti psichedeliche del passato e maggiore concretezza e varietà. 

L’avvio è da amore a prima vista con “Harry’s song”, progressione di pianoforte che si arricchisce sul finale con gli archi di Jenny Adejayan  e  Lizzie Anstey,  e pare un perfetto esempio di fusione fra rock e minimalismo. “Be still” , stranita descrizione di una contemplazione marina, insieme a “Strawberry dress” sono gli episodi più vicini allo stile classico dell’autore, con le consuete impervie parti vocali supportate dai cori di Jenny Macro, Lucy Parnell e Anne Lise Frokedal . 

Al terzo pezzo, “Stupefied”, spunta una tabla, strumento forse finora inedito nella discografia di Hitchcock, a sottolineare la cadenza dance del pezzo. Al quarto, “I love you” irrompe, con un potente ed ipnotico refrain, l’elettronica, che ritorna nella citata “Fix you” , utilizzata però in modo funzionale al generale clima dinamico e brillante del disco. “Devil on a string” è un rock’n roll alimentato a fiato e tirato a rotta di collo e “Death and love” , un altro dei vertici, potrebbe essere un classico jingle jangle dei  sixties.

La conclusione del lavoro è affidata alla ballata dark  “My rain”,  prima che la dolce e malinconica  “End of time”, ci conduca , su uno scroscio di un’onda marina, ai saluti finali che Robyn ci lascia insieme al suo amore da ( e per ) Londra.

 

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 4 voti.
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brian 4/10
REBBY 8/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 8:47 del 28 giugno 2013 ha scritto:

Lo dico subito: per il di fianco scritto Robyn Hitchcock è un drago, sottostimato ovvero minore, ma solo per gli altri, non per me (la trilogia che realizzò dal 1984 al 1986 basta e avanza per renderlo un fuoriclasse alle mie orecchie).

Anche nel nuovo millenio, che io abbia sentito, non ha mai realizzato un album brutto.Questo non solo non fa eccezione, ma probabile che sia il migliore. Normale eh, quest'anno è entrato nei favolosi anni '60 (li ha compiuti in marzo), il suo pane: Barrett, Lennon (e il suo degno compare), Davies, Van Vliet (?), lui li ha sempre adorati in quegli anni eheh

Lui è il brit rock post ed ante litteram!