Thin White Rope
The One That Got Away
Karl came back but he isn't the same
He came very quietly, no one was very surprised
Karl came back and he works and he smiles
But if you look closely there's still something scared in his eyes
Something affected him down in the desert
La voce trascinata, tra ruggine e carta vetro, lo declama fin da subito: qualcosa è successo giù nel deserto. E se quello che è successo a Karl, che ancora lo spaventa, lo possiamo solo immaginare sappiamo invece che, nella seconda metà degli anni '80, col Paisley Underground che impazza e i primi vagiti del Grunge, il deserto è mamma, fattrice di musica incendiata dal sole e sporcata dalla polvere.
La musica dei Thin White Rope da Davis (California) è simile a nessun'altra, è ruvida corda che intreccia e tiene a sè legata diversi generi peculiari della musica americana ma trasfigurati e assemblati con personalità, abilità tecnica e noncuranza della direzione a cui stanno puntando molti cavalli di razza del rock americano. Rubricati frettolosamente sotto la voce desert rock e ignorati dal grande pubblico, la loro miscela esplosiva la recepiscono in pochi.
Non è roba da heavy rotation: poco glamorous quel meticciato lirico e abrasivo di blues elettrificato, country selvaggio e rock iconoclasta. Tale bellezza la si deve a Guy Kyser (voce e chitarra) e Roger Kunkel (chitarra), che vedono nell'inseguirsi vertiginoso (provare per credere) delle loro sei corde la chiave del loro suono su cui imbastire un progetto che si rivelerà tra i più originali e sottovalutati della storia del rock a stelle e striscie.
Il saluto definitivo, la fine della corsa dopo otto anni di ottimi dischi e scarsi riscontri commerciali, è il live The One that got away, il loro album migliore.
E' la registrazione di uno strepitoso show a Gent, in Belgio, di un concerto arso vivo da sonorità sferraglianti e minacciose, addolcito da malinconie cullanti ma che viaggiano sicure su un polveroso treno dai ritmi incalzanti e dal ruggito approssimativo e cavernoso.
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