Verdena
Endkadenz Vol. 1
Confusi, distorti: labirintici come non mai, i Verdena. Registrano, in picco, un anno di sessioni jam in "saletta" (il pollaio/henhouse di Albino), selezionano e sporcano strutture di strati con un onnipresente effettaggio fuzz. Nellattitudine ripristinando, prima di ogni altra cosa, il nero primordiale del loro sound.
Più della metà di Endkadenz Vol. 1 (effetto scenico teatrale per la sua realizzazione Kagel prescrive: colpisci con tutta la forza possibile sulla membrana di carta del VI timpano, e nel frattempo, nella lacerazione prodotta, infilaci dentro tutto il tronco. Quindi resta immobile!) è, infatti, dedalo di abissi autistici, ed estetica pop escapista, impeciata di dissonanze tra lo stoner e lo shoegaze: un bel groviglio, più che in altri capitoli della loro carriera.
Ci si aspettava un accrescersi della forma psych pop sperimentata nel radioso Wow (2011): un album ancor più easy listening, nelle ipotesi. Dellalbum precedente i Verdena forzano il metodo compositivo, alternando arrangiamenti piano (a muro: novità) driven a fughe progressive di chitarra elettrica; dal doppio sottraggono molte armonie vocali, le spinte cromatiche delle aperture melodiche, dilatando al contempo le parti chitarristiche in terre di cupezza psichedelica prossime a Requiem (Non Prendere lAcme, Eugenio, Isacco Nucleare, Sotto Prescrizione del Dott. Huxley, "Il Gulliver"). E ancora: mantengono, nel taglio estetico, una certa vena dirompente propria del precedente disco, ad esempio nellintera economia di brani come Derek e Ho una fissa (sulla falsa riga di Mi coltivo, Sul ciglio, Lui gareggia e Attonito; o, ancora in Requiem, Don Callisto), così come nei labirinti ("Rilievo") e nelle dilatazioni ("Inno del Perdersi", la coda di "Funeralus") di certe soluzioni - si senta, nel bridge, il pesantissimo groove di una Puzzle cangiante nella forma originaria di cantautorato italiano.
Le strutture sono diventate nettamente più stratificate, schizofreniche per il continuo debordare dal principio di realtà, sganciate da tutto (è arduo trovare riferimenti precisi): con il demone della scrittura di Alberto Ferrari, più bipolare e isterico che mai, a farle deviare nel caos di trame ossessive.
Ritroviamo, poi, la solita ritmica fisica, quella di Luca Ferrari, mossa da istintività primordiali, benché qui canalizzata su motorik e binari decisamente kraut: si prenda Funeralus e il corpo centrale di beat incavati, oppure la girandola (tra Flaming Lips e progressioni 80s) di Vivere di Conseguenza. E cè un basso (Roberta Sammarelli), lungo tutto il disco, a cui piace (più che altrove) ribellarsi allintrico e ai moti instabili dei brani; un basso che si ristruttura continuamente nel riflesso degli schemi ritmici e nella gestalt di un sound sparato agli estremi.
Corrotto e certo più in ombra che in "Wow", non manca ad ogni modo il piglio pop in Endkadenz Vol. 1: entro le dinamiche del disco Un po esageri crea lo stesso effetto dissonante, sarà già stato notato, di Muori Delay in Requiem; l'orchestralità melodica, ariosa e lisergica (uno degli episodi più affini, per psichedelia e compattezza pop, al doppio), di "Diluvio" ("dormi un altro po' / sognerai che sei nel mio cuor"); e poi Puzzle (sei fumo o hashish? / benzina o cenere? / mi includerai mai? / mi serve un sì) e Nevischio (senza un fine non ci riesco a stare), coppia di ballate (l'influenza, dichiarata apertamente da Alberto Ferrari, del Battisti cromatico di "Anima Latina", confluita inoltre nel seno delle aperture di molte altre composizioni) storte ma immediatamente inquadrabili - specie la prima, con quel giro iniziale à la R.E.M.
Endkadenz Vol. 1 è un album che vive spessissimo di sfumature psichedeliche e insight compositivi, allascolto, abbaglianti - meno di compattezza delle singole composizioni: si prendano le aperture di synth e i vuoti accompagnati dal piano ritmico in Vivere di Conseguenza; il bagno melodico e, a ruota, la linea vocale di Ferrari (su di noi non crescerà un mai) nel drama Diluvio; lespandersi delle bordate, nel riff in fiamme di Inno del Perdersi; lintro sophisti nella circolarità psych pop di Contro la Ragione; di nuovo, il bridge corposissimo e dissonante di Puzzle; i muri ritmici e l'emotività nel giro acido di Ho una fissa; gli slanci di tetro blues rock (dalle saturazioni, rafforzate dai pattern ritmici in stile, ancora una volta, Requiem) e il finale beatlesiano di una Alieni fra noi dal taglio verdeniano pre 2007 ("Il Suicidio Dei Samurai", "Solo Un Grande Sasso"); le scintille stridenti gettate sulla pece math della roboante Rilievo apice assoluto del disco.
I versi di Ferrari rimangono altamente idiosincratici, ermetismo introspettivo parecchio ingenuo. Cè, però, un tentativo (abbozzato) di essere più descrittivi e chiari ("e mi vedrai come affondare / nel terreno che circonda il tuo viale" da "Nevischio"), lasciando "meno" al caso (lo si prenda con le pinze) il significato. Senso il quale, paradossalmente, non fa la differenza, e che corre in qualche occasione il rischio di rendere troppo cantautoriale ciò che dovrebbe rimanere, nel nucleo, indecifrato. Piuttosto, ed è primario concentrarsi su questo, sono gli umori delle sue linee vocali, davvero trattate, a potenziare la resa estetica dei brani; e a farsi, al solito, strumento aggiunto.
Al netto di qualche isolato calo (Sci Desertico, per chi scrive) e di una produzione spiazzante (seppur esteticamente coraggiosa e convincente nellinsieme) la quale, sotto un certo rispetto (il più critico), non sembra valorizzare sempre la nitidezza di una moltitudine di screziature e di dettagli presenti nel disco, Endkadenz Vol. 1 si mostra solido e, cosa più importante, certifica linstancabile creatività di una band in continua moratoria (ventanni esatti) e cambiamento del proprio sé artistico.
Lavoro rischioso, ma edificante per la stagnante scena italiana: lo si dice senza aspettare maggio - mese in cui sarà rilasciato il Vol. II., nato dalle stesse sessioni di registrazione ma non confluito, come successe per "Wow", in un doppio.
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