Destroyer
Kaputt
Tra le tante caratteristiche che la musica pop può assumere, l’eleganza è una di quelle che certamente suscita maggiore fascino: la sensazione di trovarsi, al suono di un sax, in qualche night club fumoso, o in un angolo sperduto a contemplare il chiaro di luna, crea un rapporto con la musica molto atmosferico e sensuale. Purtroppo, però, le ultime tendenze musicali in ambito pop (soprattutto in Canada e USA) hanno riservato poco spazio all’elegante cura dei suoni, preferendo invece un taglio lo-fi più immediato e ruvido; quando, perciò, ci si ritrova di fronte a un artista che rifiuta del tutto gli stilemi più alla moda oggi, adagiandosi beato nella nostalgia dei bei tempi, non si può che rimanere intrigati e colpiti.
Ecco, quindi, che scoprire a inizio 2011 un disco come Kaputt ha il sapore di un meraviglioso tuffo nel passato, come se l’anno che è appena comiciato fosse, per dire, il 1982. Infatti, dopo aver trascorso l’ultima parte della sua carriera ad aggiornare il sound di Bob Dylan e Van Morrison, la costante ricerca della perfezione formale di Dan Bejar, in arte Destroyer, incontra un vivo sentimento d’amore e gratitudine per gli anni ’80. La lezione del glam-rock più delicato, del sophisti-pop più pregiato, del sensuale stile new-romantic di Avalon si mescola con il classico timbro pacato e discreto di Bejar, che crea con i suoi affreschi lirici sempre evocativi un vero e proprio saggio di romanticismo. È un disco che ha il sapore di storie infinite, di momenti ormai tramontati ma sempre vivi nella memoria: e così ecco reminiscenze di primi amori (“Your first love’s New Order”, da Blue Eyes), di riviste sfogliate sognando di imitare i propri idoli musicali (“Sounds, Smash Hits, Melody Maker, NME/ All sound like a dream to me”, recita la title-track), tra le quali, però, si inseriscono amare critiche alla società moderna, in particolare quella americana (“New York City just wants to see you naked, and they will”, canta Bejar in Suicide Demo for Kara Walker), con un preminente senso di compassione verso le tante figure femminili presenti nell’album, le cui storie si scontrano con la dura realtà dei fatti (“I wrote a song for America/ They told me it was clever/ Jessica’s gone on vacation on the dark side of town forever”, da Song for America).
Questo grande impianto lirico viene inserito, come dicevamo, in uno splendido contesto soft-rock, nel quale a chitarre luccicanti e cariche di orgoglio eighties si affiancano sax magici, commoventi, sempre presenti a dare un tocco romantico alle composizioni. Era, sinceramente, da un pezzo che non si sentiva un lavoro al sax così curato e incisivo! La scelta di virare verso suggestioni jazz-pop può dunque dirsi riuscita, già a partire dal primo brano, Chinatown, nel quale si può anche ammirare, nel mezzo di un delizioso quadretto bucolico, la seconda importante novità del disco, ovvero la voce femminile di accompagnamento. Passando poi per ballate dal sapore funk/soul (Blue Eyes) e palpitanti cavalcate synth-pop (Savage Night At The Opera) si arriva ad uno degli apici del disco, Suicide Demo For Kara Walker: questo brano è uno di quei casi in cui Bejar si lancia in narrazioni infinite al limite dello spoken word, creando atmosfere cinematografiche dall’elevato potere immaginifico (basti sentire il lungo intro, a metà tra ambient cosmica e soundtrack da film noir). Un’attitudine che si riscontra nella già nota Bay Of Bigs, un vero e proprio monumento epico ambient-disco, sul quale svetta un testo criptico e allucinato (“I don’t know what I’m doing/ alone, in the dark/ at the park or at the pier/ watching ships disappear in the rain”). Senza dimenticare ovviamente la superba title-track, nella quale risiede il mood generale del disco, ovvero quel senso di nostalgia che aleggia in chi ha vissuto musicalmente gli splendidi anni ’80.
Insomma, con Kaputt Destroyer ha dato un taglio netto al suo recente passato musicale (e c’era da aspettarselo, con quel titolo!), ma il risultato, pur attingendo da un repertorio già solido, difficilmente avrebbe potuto suonare più sincero e personale. Un sogno ad occhi aperti che si ripete ad ogni ascolto, sempre di più.
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