Allman Brothers
Eat A Peach
Fu durante la lavorazione di questalbum che la prima chitarra del gruppo Duane Allman ebbe, nellottobre 1971 e non ancora venticinquenne, lincidente motociclistico che mise malaugurata fine alla sua esistenza. Si volle allora estendere lopera, pianificata inizialmente come normale disco singolo con sei/sette canzoni, ad una durata doppia aggiungendovi una robusta sezione dal vivo, con Duane naturalmente ancora in azione, per dare alla sua chitarra ancora un ruolo centrale anche in questo quarto album di carriera.
Curiosamente nelloriginario doppio vinile le facciate dal vivo erano la seconda e la quarta, con la terza riservata ad episodi in studio ancora col contributo dellillustre scomparso, la prima infine dedicata a tre composizioni più recenti e perciò posteriori alla sua morte, due di esse registrate col solo Dickey Betts alle chitarre e la terza col cantante e fratello Gregg Allman allacustica.
La storia del rock ha dischiuso al biondo e baffutissimo fratello maggiore degli Allman lingresso nel Pantheon dei chitarristi più importanti ed influenti, a fianco cioè dei vari Hendrix, Page, Beck, Van Halen, Gilmour, Clapton eccetera. Sinceramente non sono mai riuscito a cogliere questeccellenza assoluta Duane appare certamente anche a me musicista di rango, ma nella lista dei chitarristi che hanno nutrito, istruito ed allietato la mia personale passione musicale e più in specifico chitarristica, sono molti i nomi che lo precedono. Esticazzi...? Era solo per spiegare lassenza, in questa recensione, delle consuete lodi sperticate alla musica di Duane ed ai primi album degli Allman.
Non so quanto la personale tragedia possa aver inciso nella generale percezione di questo musicista Sepolto il corpo a Macon, sua città dadozione, con una bottiglietta vuota di Coricidin infilata allanulare sinistro (il suo bottleneck) e un joint ancora da fumare dentro la tasca dei jeans, resta licona di Duane, uno degli eroi puri e perfetti della musica rock, mancato per sua sfortuna (e colpa: andava troppo forte, con quella Harley) ben prima di poter imbolsire, annacquare eventualmente la sua vena artistica, sentirsi minimamente appagato in carriera.
A suo sempiterno ed affettuoso ricordo, ancor oggi e da quarantanni a questa parte, gli Allman Brothers lasciano il palco dopo il concerto facendo diffondere dallimpianto di sala le note di Little Martha, mirabile duetto acustico del granduomo insieme allaltro chitarrista Betts, proprio il numero posto a chiusura di questalbum. I due compari vi smanettano allunisono con le chitarre accordate entrambe in MI aperto (lintonazione privilegiata usata da Allman anche per suonare slide) e lepisodio è uno squisito gioiello.
Gli altri due highlights dellalbum, a mio gusto, provengono uno per ciascuna dalle altre due sezioni. Fra le composizioni in studio senza più Duane mi piace tantissimo liniziale Aint Wasting Time No More, perfetto rock sudista con ladulta, impagabile voce blues di Gregg a troneggiare e con Betts che rimpiazza bravamente lo scomparso collega, doppiando la chitarra ritmica con un bel lavoro di slide guitar.
Dei tre episodi dal vivo trovo che il migliore sia la trascinante One Way Out, vecchia canzone rhythm&blues di Sonny Boy Williamson ed Elmore James, coverizzata a boogie e tutta da descrivere: inizia Betts prendendo a scandire la ritmica sincopata inventata da Williamson, presto raggiunto da Duane che vi svolazza sopra colla bottleneck. Dopo il canto rilassato ed evocativo di Gregg parte di nuovo Betts, con un ispirato e pungente solo. Un break delle due batterie serve al cantante per chiamare i due chitarristi, che rispondono scambiandosi un paio di focosi botta a risposta; a quel punto decolla letteralmente Duane, sempre colla bottiglietta di medicinale al dito. La Gibson diavoletto ed il Marshall (il modello per basso al nostro piaceva per i suoi altoparlanti grossi, che incupivano ed inspessivano il suono, spegnendo le asprezze del vetro contro il metallo delle corde) rendono un suono perfetto, melodioso e lirico, atto a scoperchiare i cervelli dei presenti e di chi ascolta ancor oggi con la dovuta concentrazione. Un vero peccato che il proscenio torni, troppo presto, al più giovane degli Allman per la strofa finale e la chiusa.
Per un pezzo che doveva andare ancora avanti per un po, ce nè un altro che doveva invece durare di meno, ovvero la mitica, esagerata jam session che si estende per la metà del disco ed intitolata Mountain Jam perché prende le mosse da un brano di Donovan denominato There Is A Mountain. Dopo il prologo, ci si sbrodola con assoloni in serie di Duane sul Les Paul normale, poi del fratellino Gregg con lHammond, poi del Les Paul di Betts, indi dei due batteristi Butch Trucks e Jai Johanson insieme, dopodiché è la volta del povero bassista Berry Oakley (perito lanno seguente anchesso cadendo dalla sua Harley, a tre isolati di distanza dallincrocio nel quale cera rimasto Duane ) e dulcis in fundo di nuovo il baffone, con laltra Gibson e la bottleneck fino alla chiusura.
Sono più di trentatré minuti di delirio, quasi costantemente ondeggiando sopra un paio di accordi, sempre quelli: francamente una discreta noia non riferita agli Allman in quanto tali, ma più genericamente a questi idiosincratici tour de force, una moda ritengo inventata dai Cream e a cui indulgevano molti act di rock blues, tipo Mountain, Ten Years After, Humble Pie cogli stessi risultati piuttosto stucchevoli.
Fra gli altri pezzi vanno menzionati i due scritti da Betts: Blue Sky costituisce anche il suo esordio alla voce solista: il timbro alto e rotondo e lo strascicato, ortodossissimo stile country del chitarrista sono quanto di più lontano dalla maschia, sofferta emissione del collega organista, inarrivabile cantante blues, di enorme e riconosciuta emozionalità. Laltro Les Brers in A Minor è invece il consueto strumentale jazz/progressivo, sulla falsariga del celebrato In Memory Of Elizabeth Reed contenuto sia sul secondo che, in versione al vivo, sul terzo album.
Ultima menzione per Melissa, solare ballata semiacustica con un Gregg Allman, per una volta sornione e romantico, che per loccasione molla lorgano e imbraccia lacustica (lui daltronde aveva iniziato come chitarrista, passando poi alle tastiere perché il fratello era troppo più bravo di lui), cantando lamore per una donna lui sa quale (non certo una Melissa le cronache raccontano che prese in considerazione questo nome dopo aver sentito per strada una mamma richiamare così la sua bambina).
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