Kings Of Leon
Come Around Sundown
E senza dar troppo nell'occhio, i Kings Of Leon sono arrivati al loro quinto album in sette anni. Mentre gli altri vedono entusiasmi passeggeri sgonfiarsi per questa o quell'altra indie band, i Followill continuano a vendere milioni di dischi (6 solo con il precedente Only By The Night) e a soddisfare i loro ascoltatori.
Non che stiano sempre fermi nella stessa posizione. Anzi, quella mutazione subita dopo i primi due album fu appariscente: via il rock ruvido e sporco, via i capelli lunghi e l'aspetto poco curato e largo a un'immagine più attenta alle volontà del grande pubblico. Così nascono Because Of The Times e soprattutto Only By The Night, caratterizzati da un sound più pulito e immediato e dalla presenza di alcune hit in grado di attecchire anche su Mtv: furono tanti a storcere il naso di fronte alle recenti Sex On Fire o Use Somebody.
Con Come Around Sundown, i re raggiungono una sorta di sintesi. Non c'è una vera e propria hit in grado di emergere sulle altre, ma una generale attenzione verso la facile orecchiabilità dei pezzi. E' il loro album più melodico, capace di includere un brano come Mary, vero e proprio pezzo da stadio colmo di pubblico urlante, e una diffusa atmosfera spensierata, "da spiaggia", come la copertina suggerisce e lo stesso Nathan Followill conferma. Da questo punto di vista, è facilmente comprensibile che chi li ha amati per ciò che erano agli esordi, appare oggi piuttosto deluso. E' la testa a protestare verso la loro nuova veste, capace di rivolgersi al mainstream senza false ipocrisie.
La testa, dicevamo. Solo la testa. L'orecchio invece risulta soddisfatto. Il tempo degli espliciti apprezzamenti dei vari Bob Dylan e Bruce Springsteen saranno anche passati, ma la ricetta è ancora efficace. Come Around Sundown forse non sconvolge, ma appare molto più gradevole di quanto ci si aspetti. Man mano che procedono gli ascolti, non si è mai in grado di identificare quali canzoni spiccano sulle altre. Ma alla fine, quasi involontariamente, ci ritroviamo puntualmente a canticchiare l'incedere intrigante di Pyro, o i ritornelli lenti di The End, o le chitarre in tenuta shoegaze di The Face. Una piacevolezza meno esplicita, che scorre sotto la superficie, ma che convince per compattezza e maturità dei mezzi.
Preparatevi dunque a un contrasto interno, tra la razionalità ostile alle sfumature commerciali del disco e la soddisfazione percettiva legata all'ascolto. Lasciate che le due forze si scontrino senza forzature, e stabilite in totale libertà l'esito della battaglia. Nel mio caso, ha vinto la musica.
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