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R Recensione

8/10

Counting Crows

August And Everything After

Un uomo esce dalla porta principale di casa sua, si confonde tra le nebbia e diventa un fantasma. Non sa dove va, ma sa da chi sta fuggendo. Il suo sogno è volare in alto, appena sotto la luna e, da lassù, guardare la ragazza che ama, per distinguere la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Il semplice arpeggio di una chitarra, affilata e pungente come una lama, accompagna la voce di Adam Duritz (cantante della band) mentre racconta la storia di un uomo che, lasciandosi alle spalle persone e ricordi, sta rischiando di lasciare indietro anche se stesso ("Round Here").

 

Storie ambientate in America; che sia l'America delle metropoli o l'America delle città che passano inosservate, come "Omaha", nel mezzo degli Stati Uniti ("somewhere in middle America"), la sostanza non cambia. Non ha importanza il posto in cui si svolgono i fatti perché la gioia, l'invidia, la passione, l'innamoramento, la malinconia sono uguali per tutti, dappertutto, ovunque uno si trovi.

 

Non si possono avere dubbi circa la genuinità delle storie che i Counting Crows raccontanto, né tantomeno sul loro modo di raccontarle. Basti ascoltare Duritz in "Round Here", e la sua voce che, senza nemmeno rendersi conto, si trasforma nella voce di una ragazza mentre combatte contro i pensieri che le affolano la testa ("I know, it's only in my head/ shhhhh..I know, it's only in my head").

 

Il protagonista di "Perfect Blue Building"  è molto simile alla ragazza appena citata. Anche lui sembra voler smettere di sognare, svegliarsi da quel coma in cui cade quotidianamente, il coma che gli permette di fuggire, anche solo per un istante, dal grigiore e dalla monotonia vita.

 

"August And Everything After" prosegue con "Anna Begins", ed ancora con storie di donne e tormenti. Una relazione nata per caso, quasi per gioco, senza alcuna pretesa considerando l'incolmabile lontananza fisica delle due persone (America ed Australia), una relazione che si trasforma, con il tempo, in un amore irrinunciabile. Dall’atmosfera malinconica delle strofe si passa alla rinascita dei ritornelli. Il cambio melodico (da minore a maggiore) rappresenta nel migliore dei modi il passaggio dalla ragione alla passione, dai consigli degli amici di troncare il tutto ("My friend assures me... It's all or nothing"), e le preoccupazioni di lei circa il rapporto in maturazione ("-If it's love- she said-/then we're gonna have to think about the consequences-") al rapporto fisico, carnale ed erotico, che sembra risolvere in un istante ogni problema ("but she can't stop shaking/ and I can't stop touching her...").

 

"Time and time Again" è una canzone sulla fuga da tutto e da tutti, verso luoghi disabitati come il deserto della California. Quì è l'hammond a padroneggiare introducendo "Rain King", traccia divenuta poi un cavallo di battaglia dei Counting Crows nelle esibizioni dal vivo e, dal punto di vista strumentale, vicina alla celeberrima "Mr. Jones", che ha lanciato la band di Berkleey al successo mondiale. Adam Duritz non è stato però eccessivamente legato a questo singolo-bomba, o meglio, ha fatto di tutto per non esserlo. La realtà è che i Counting Crows amano "Mr. Jones",  essendo una canzone sui sogni, sulla speranza, sul desiderio e la volontà di arrivare al proprio obbiettivo, ma allo stesso tempo una canzone sulla volatilità delle cose, che una volta raggiunte non potranno durare per sempre, nonostante si faccia di tutto per credere il contrario ("when everybody loves me/ I'm going to be just about as happy as I can be").

 

In "Sullivan Street" invece si vola fino a San Francisco, passeggiando per le strade deserte nella notte fonda. Pianoforte, batteria, e chitarra acustica (niente più) sono gli ingredienti di questo pezzo che tratta l’inevitabilità del lasciarsi, come ammetterà poi lo stesso Duritz. Da sottlineare la seconda voce della tutt’altro che famosa Maria McKee alla quale il cantante dei Crows ricambierà il favore collaborando nel suo futuro album. "Raining in Baltimore" è probabilmente la perla dell’intero album. "È una canzone sull'essere a 50 miglia di distanza da nessun luogo e voler essere da qualche altra parte con qualcuno che ti manca, realizzando, però, che sei stato tu a costruirti questa situazione. È la canzone più triste e amara dell'album a mio avviso". Spiegherà molto tempo dopo Duritz. "Raining in Baltimore" dopotutto non è nemmeno una canzone qualsiasi, essendo il pezzo che poi prenderà il posto di "August And Everything After", quello mai inciso, che darà il nome all’album ed il cui testo apparirà nella copertina.

Ora, ad anni di distanza, pensandoci bene, l’esclusione dalla scaletta potrebbe essere giustificata. I membri della band diranno che il pezzo omonimo del disco stava rubando troppo tempo per la sua registrazione e non ne erano del tutto soddisfatti. In effetti a cosa può servire una canzone così? In fin dei conti in queste undici tracce c’è raccontato già tutto. Tutto riguardo ad “Agosto e a tutto quello che venne dopo…”. 

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gull 8/10

C Commenti

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sarah (ha votato 7 questo disco) alle 12:10 del 28 aprile 2010 ha scritto:

Dischetto carino e gradevole come la recensione, un mio ex fidanzato lo metteva sempre in macchina ai tempi eh eh.....rock americano con spruzzatina roots e tanti buoni sentimenti, la versione college rock degli American Music Club. Promosso. Round here la mia preferita.

salvatore (ha votato 5 questo disco) alle 13:25 del 30 aprile 2010 ha scritto:

Mai piaciuto. Lo comprai originale... una delusione. Canzoni che vogliono essere leggere ma risultano pesanti. Poi, ho un problema con la voce del cantante... Troppa convinzione che, per il mio gusto personale, è un limite.

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 13:28 del 30 aprile 2010 ha scritto:

Lavoro discreto, che però non mi ha mai conquistato fino in fondo.

ozzy(d) (ha votato 4 questo disco) alle 14:10 del 30 aprile 2010 ha scritto:

quando il video di mister jones passava 20 volte al giorno su MTV avrei ammazzato il cantante, il "jovanotti periodo impegnato" afro-americano che giocava a fare il michael stipe dei poveri.

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 15:37 del 30 aprile 2010 ha scritto:

A me piace parecchio, se non altro perchè ha sicuramente ispirato i Decemberists (i primi, quantomeno).

salvatore (ha votato 5 questo disco) alle 15:50 del 30 aprile 2010 ha scritto:

RE:

Forse in qualcosina sì, Marco, ma, a mio parere, i primi tre Decemberists valgono dieci volte questo album. Dai, forse con dieci esagero, ma poi subentra anche il gusto personale e il rapporto empatico che si viene a creare con un cd.

gigino (ha votato 7 questo disco) alle 11:30 del 9 giugno 2010 ha scritto:

piacevole

Dischetto da ascoltare senza impegno. Niente di trascendentale, ma non male.

gull (ha votato 8 questo disco) alle 19:05 del 9 giugno 2010 ha scritto:

Quanto tempo è passato!

"Raining in Baltimore" è un capolavoro, bellissima e sentita.

Ma anche "Round Here", "Omaha", "Anna Begin", "Perfect blue buildings", "Sullivan Street" ecc.... sono dei bei pezzi: praticamente quasi tutti! .

Semplice pop-rock, in fondo, ma ispirato ed arricchito dalla buona vena interpretativa del cantante.

"Mr Jones", pur essendo assunta ad hit addirittura su MTV, è un pezzo più che dignitoso.

AndyLewis (ha votato 9 questo disco) alle 23:57 del primo luglio 2010 ha scritto:

Uno dei miei cd preferiti.

Non sarà un capolavoro ma non sò come mai mi è entrato nel cuore!

Comunque Round Here è oggettivamente un capolavoro,specialmente nella versione live unplugged

Mattia Linea (ha votato 7 questo disco) alle 18:03 del 14 agosto 2014 ha scritto:

Disco godibile e piacevole, ma niente di più. "Mr. Jones", "Round Here" e "Anna Begins" risultano indubbiamente le più belle. Adam Duritz ha una voce splendida, avvolgente e calda. Dello stesso genere ma molto più bello è il disco dei Crash Test Dummies, "God Shuffled His Feet".