Hole
Nobody's Daughter
Courtney Love è un icona centrale del rock anni ’90, che vi piaccia o meno.
Ma sul significato e la validità di questo personaggio scomodo non si è ancora giunti ad una conclusione: sanguisuga sul collo del mai troppo compianto Kurt o povera vedova allegra in pasto al mainstream??
Su questo dubbio amletico si sono dibattuti fan accaniti, critici, opinionisti, e credo anche Del Debbio dal suo sfondo assiepato, generando molteplici versioni e visioni di una verità che molto probabilmente non conosceremo mai, e che forse è meglio tenere nascosta. Fra cause legali per i diritti d’autore sulle composizioni dei Nirvana, fiotti di ristampe, inediti, raschia barili e bside-cuscinetto per risanare le casse disastrate della nostra bionda eroina (si, dovete leggerci un doppio senso con i fiocchi) e continui dubbi sul credito delle canzoni delle Hole (il caso vuole che l’ottimo Live Through This sia targato 1994), la stella di cartone di Courtney Love si è dissolta in una nebulosa informe.
Questo pluri-acclamato tentativo di rianimare il corpo morto delle Hole, dopo il fallimento totale di America’s Sweetheart, è l’ultimo e goffo tentativo di risalire la china di una rockstar al declino, come una starlette dal trucco sbavato che tenta invano di dimostrare al mondo di saper fare ancora qualcosa, scivolando grottescamente in un baratro senza via d’uscita.
Fra schitarrate sdrucite (Skinny Little Bitch), ballad sgualcite come uno straccio vecchio (la title-track Nobody’s Daughter e l’imbarazzante Honey) e reiterazione di cliché ormai sopiti (Loser Dust), la povera Courtney si scava la fossa con le sue stesse mani, noncurante delle ferite sporche e aperte, e con la foga di una psicopatica in delirio che mette in scena il suo crollo di fronte ad un pubblico indifferente.
Una diva allo stadio musicale terminale.
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