Jimi Hendrix
Band Of Gypsys
Quinto ed ultimo album pubblicato con il genio di Seattle ancora vivo e vegeto, Band Of Gypsys è un assemblaggio di pezzi tutti inediti ma, diciamo così, intenzionalmente non di prima scelta e per di più eseguiti direttamente su di un palco, senza darsi pensiero di entrare in uno studio per registrarli. La ragione è che questo disco uscì per ottemperare ad obblighi contrattuali: Hendrix, prima di conoscere e legarsi al suo scopritore inglese Chas Chandler, sbarcare con lui a Londra e da lì far partire la sua folgorante carriera, si era tempo prima impegnato con un produttore americano, che dopo aver fatto ben poco per lui quando era ancora sconosciuto, non ci aveva messo molto a farsi vivo ed impugnare quel contratto, appena la fama di Jimi aveva iniziato, per merito di altri, a propagarsi per il mondo.
Fu trovata la maniera per risarcire e togliersi di torno questo produttore, convenendo per un disco di canzoni inedite, i cui proventi artistici fossero tutti a suo favore. Il modo più spiccio e diretto per liquidare la pratica fu la registrazione di qualche buona performance dal vivo, opportunamente farcita di un certo numero di composizioni inedite, senza però bruciare le idee migliori del momento, intendendo riservarle per il disco successivo. Non per altro nellalbum compaiono due canzoni composte dal batterista, ed alcune suonano assai più come jam session (un semplice riff e poi vai con limprovvisazione) che come effettive e strutturate composizioni.
Ciò non toglie che, essendo in azione un eccezionale musicista, il disco abbia assoluto valore, ovvero pari dignità con tutte le altre uscite sul mercato a nome Hendrix che lavevano preceduto. Cè poi un altro aspetto da considerare, importante per la qualità musicale dellopera: gli spettacoli registrati per la bisogna furono quattro e si tennero tutti al Fillmore East di New York, in due giornate consecutive a cavallo del Capodanno 1970 (uno spettacolo nel pomeriggio ed uno di sera, come usava una volta); le due giornate di concerti furono molto diverse, perché limpresario del locale Bill Graham, personaggio pieno di carisma ed influenza ai tempi, si lamentò apertamente col chitarrista dopo la prima sera, asserendo che tutti quei suoi trucchetti, quella teatralità, quel suonare coi denti, dietro la schiena eccetera, avevano fatto sì grande spettacolo e mandato il pubblico in visibilio, ma reso tecnicamente imprecisa ed approssimativa la performance...
Il risultato fu che il giorno dopo il meticcio fuoriclasse della sei corde se ne stette buono buono nella sua postazione sul palco, chinato sulla Stratocaster e concentrato sul suono e sulle note da prendere, nonché attento allintonazione della voce eccetera, senza concedere molto alla platea ma creando e plasmando da par suo tutta la mirabile creatività, potenza e sensualità che il suo talento era in grado di sprigionare. Inevitabilmente, le canzoni contenute in questo album provengono dai concerti del primo di gennaio, quelli a valle della ramanzina di Graham.
Non vi è cosa più ovvia e banale, in campo musicale, che parlare bene di Jimi Hendrix: la sua rivoluzione nellapproccio alla chitarra elettrica, la ricerca sonora, il suo darsi alla musica senza ritegno e senza preconcetti, la candida disponibilità ed apertura verso tutto e tutti, lanimalesco, primitivo fascino che sgorgava dalla sua persona appena indossava il suo strumento e si dava al pubblico, sono fatti e sensazioni ancora e sempre alla portata di chicchessia, basta visionare un qualsiasi filmato di un suo concerto: un marziano, una bestia daltri mondi. Perfino la sciagurata e precoce morte, congelando il suo mito senza qualsivoglia invecchiamento, imbolsimento, rilassamento, contribuisce alla perfezione di questa icona assoluta del rock: era alto, bello, gentile, sensuale, generoso, imbottito di talento ce laveva pure grosso per sopramercato, narrano le biografie, e sempre pronto! E che diavolo
Con tutto questo, ritengo che il lascito discografico di Hendrix non renda adeguata giustizia alla sua decisiva figura di innovatore e sviluppatore musicale: non pochi i riempitivi e gli episodi sfocati e sottotono, a inframezzare e diluire le perle folgoranti, sparse qui e là nel repertorio, ad espandere per sempre le frontiere della musica. Questo album non fa eccezione, soffrendo ad esempio della voglia di protagonismo del batterista Buddy Miles, colto in vari momenti ad indulgere in vocalizzi e gigionerie varie con il pubblico, dalleffetto fuorviante rispetto allapproccio intenso e progressivo tipico della musica di Jimi.
Il contenuto dellalbum permette di apprezzare quanto la Band Of Gypsys, cioè la nuova sezione ritmica, americana e di colore, voluta da Hendrix, sia diversa dalla vecchia Experience, questultima bianca ed inglese: a dialogare coi funambolismi della sua chitarra prima stavano un batterista jazz, creativo ed irruente, ed un riluttante chitarrista prestato al basso; ora vi sono due neri che suonano nero, belli essenziali ed appoggiati nel loro approccio soul/rythm&blues. La chitarra elettrica del nostro, perciò, giostra qui in un ambiente molto più asciutto, pulito, preciso, groovish, ma in qualche modo meno stimolante, sparendo del tutto i forsennati aneliti progressivi, le trafficate elucubrazioni ritmico/melodiche colle quali i due della Experience inseguivano, e talvolta precedevano ed ispiravano, il chitarrista. Manca in particolare la speciale alchimia fra Jimi e il lavoro ai tamburi di Mitch Mitchell (che infatti verrà recuperato subito dopo, ai danni di Myles). Questione di gusti preferire luno o laltro gruppo, vale però in assoluto il fatto che la musica di Hendrix suoni qui un tantino più ordinaria, meno sperimentale ed innovativa.
Capolavoro dellalbum è la lunga Machine Gun, invocazione pacifista ed al contempo mirabolante tour de force espressivo dellex-paracadutista James Marshall Hendrix, ossessionato dallinutilità e dalla crudeltà della guerra in Vietnam. Il riff iniziale comprende una porzione sparata allunisono da Jimi e Buddy, fatta di trentaduesimi stoppati e rullati che simulano il sinistro e secco crepitio di un fucile mitragliatore, poi lispirato freak di Seattle prende a vagolare nel suo inimitabile stile, avviluppando la chitarra alla sua voce in un continuo alternarsi di unisoni e di botta e risposta, con laffascinante fluidità e naturalezza che, al tempo, lasciò senza fiato tutti gli addetti ai lavori, ma pure oggi appare di un altro mondo, inarrivabile.
Quando poi smette di duettare con se sesso e si concentra sul solo strumento, siamo allapoteosi: lunghi minuti di visionaria improvvisazione blues/psichedelica senza il minimo cedimento creativo, chiamando a raccolta tutte le possibili combinazioni dei pedali a sua disposizione (distorsore, wah wah, pluriottave, flanger) e poi la leva del vibrato, i diversi pickups e le diverse posizioni fisiche sul palco, per poter interagire con lamplificatore in modi sempre diversi. Uno spettacolo! Col passare dei minuti il fraseggio si fa via via più rumoristico, con simulazioni di bombe, sirene, mitragliate, a espressivo corollario di questevocativo e virtuoso lamento/monito contro luso delle armi in qualsiasi conflitto. Dopo tanti minuti di vero massacro, si avverte come la Stratocaster non ce la faccia più a stare intonata, allora Jimi torna al microfono e parla al pubblico del Fillmore, mentre riaccorda rapidamente e passa al finale: sono dodici minuti che volano, tra le cose migliori donateci da questo sommo musicista, nello stile dellancor più celebre, ma a mio gusto affatto superiore Woodo Child (Slight Return), che chiudeva alla grande il disco precedente.
Grandissimo pezzo pure Message To Love, bocconcino prelibato per gustare il Jimi Hendrix meraviglioso chitarrista ritmico, col fantastico suono pulito della Stratocaster sotto le sue dita, il magico e naturale groove funky, da resuscitare i morti, la proverbiale fluidità nel condire laccompagnamento di piccoli accordi, assolini, contrappunti e poi una bella pestata al comando del distorsore e vai, una tirata di corda assassina per un urlo belluino, primordiale e liberatorio, a tutto volume. E non è tutto qui: il brano gode pure di un (celeberrimo) riff di base delizioso, ed infine Jimi vi canta pure benissimo, col suo stile pacato e semi parlato, così istintivo, sensuale, peculiare.
Changes è una canzonetta che tira molto verso il funk, composta e cantata da Myles, a cui Hendrix regala un sontuoso (e celeberrimo pure lui) riff, condotto col pedale wah wah, nonché un ottimo assolo centrale. Power Of Love è molto di più: Jimi cava dal cilindro un altro gran bel giro di chitarra, dalla ricercata scansione ritmica che ogni tanto spareggia il tempo, mangiandosi una battuta e permettendo al trio di divertirsi, capaci come sono tutti e tre di renderlo con estrema fluidità e sicurezza. Il granduomo canta una strofa rockblues a la Cream e poi si fa raggiungere da bassista e batterista per un ritornello gospel. Infine, assoli da paura ricolmi di pedale wah wah ed applausi convinti dei duemila fortunati Newyorkesi presenti.
I brani più deboli dellopera sono quelli che la aprono e chiudono. Si sviluppano entrambi su di un unico accordo e rivelano la loro natura di jam sessions o poco più, specie la finale We Gotta Live Together, fra laltro mutilata della sua prima parte allatto della masterizzazione del disco, sicuramente per motivi di spazio sul vinile. Liniziale Who Knows, che vede duettare al microfono Jimi e Buddy nella prima strofa, appare più appoggiata ed organizzata, ma si perde poi nei lunghi manierismi del batterista che, fra gorgheggi in falsetto, stop del tempo per far battere le mani al pubblico ed altre indulgenze simili, tiene per troppo tempo il pallino in mano, senza molta gloria.
Se la musica è una fede, Jimi Hendrix è uno dei suoi Profeti Maggiori. Come per diversi altri grandissimi, lo smisurato talento ed apertura mentale portavano purtroppo con sé, quasi indispensabili per aiutarlo ad esprimere compiutamente esprimere la sua arte, grandi dosi di fragilità, spericolatezza, ingenuità verso tutto ciò che in questo mondo è infido, dannoso, per qualcuno (anche per lui, purtroppo) letale.
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