V Video

R Recensione

7/10

Retribution Gospel Choir

2

Chi nasce povero può anche liberamente scegliere di vivere povero. Chi l’ha stabilito che il riscatto sociale – di qualunque natura esso sia – debba per forza essere l’unica spinta vitale possibile? E se pure fosse così, chi ha detto che tale riscatto debba necessariamente avere un fondamento economico?  

Prendete Alan Sparhawk. Nato povero e contadino (“poor farmer”, dice lui, vedi intervista) e diventato musicista pur dichiarando di non avere spiccate doti naturali, anziché tentare la strada del successo o quantomeno quella dell’affermazione personale, della ricerca del consenso diffuso, cosa fa? Sperimenta (i dischi solisti), azzarda (gli ultimi due dischi dei Low) e si diverte. Il suo divertimento (anche se lui negherebbe) si chiama Retribution Gospel Choir, un trio che lo vede unire le proprie forze (voce, chitarra) a quelle di Eric Pollard (batteria) e Steve Garrington (basso), e che arriva oggi alla sua seconda pubblicazione.  

Esattamente come l’esordio di due anni fa, anche questo secondo album del trio statunitense si caratterizza per una costante ricerca della semplicità comunicativa, evocata fin dalla scelta del titolo e confermata lungo le dieci tracce che lo compongono.   “Hide it Away” si ricollega in maniera diretta al suono dei Low (il riff di chitarra è assai simile a quello di “Sunflower”, brano indimenticabile tratto da “Things We Lost in The Fire”), aggiungendo dosi massicce di elettricità e mettendo in evidenza una sezione ritmica eccellente. Il volume si alza con la successiva “Your Bird”, ricca di chitarre distorte e stoppate e permeata da un tono epico assolutamente efficace.  

Fin qui – verrebbe da pensare – tutto secondo previsione. Ma Alan Sparhawk vuole divertirsi e quindi infila uno dopo l’altro prima un breve intermezzo per chitarra “heavy” (“’68 comeback”), poi una cavalcata rock di due minuti tanto classica quanto trascurabile (“Working Hard”), e poi ancora un brano che sembra ripescare i vecchi stilemi del rock “da arena” tanto in voga alla fine degli anni ’70 (avete presente la colonna sonora di Rocky?) (“White Wolf”).  

Nel mezzo, una perla meravigliosa (“Poor Man’s Daughter”), fatta di chitarre impazzite, crescendo altamente spirituali, punti di contatto evidenti con le migliori produzioni del gruppo-madre e un’ispirazione lucida, intensa e deflagrante. Un pezzo che, insieme agli otto minuti della psichedelica “Electric Guitar” (altro titolo programmatico) ripaga l’ascoltatore dalla “fatica” di un disco che sembra creato più per chi deve suonarlo (magari dal vivo) che per chi deve ascoltarlo.  

Sperando di vederli su un palco, concediamo ad Alan Sparhawk di suonare quello che gli pare. Tanto è uno che – anche chiuso in garage con un paio di amici – tira fuori sempre ottime canzoni. E poi magari torna a casa, mangia e, mentre aiuta la moglie a lavare i piatti, intona con lei qualche capolavoro.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 4 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
babaz 8/10
Tizio 7/10
gasmor 5/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

REBBY alle 9:28 del 5 marzo 2010 ha scritto:

Rece e song qui proposte mi convincono a cercare

senza indugio questo disco (eheh)

babaz (ha votato 8 questo disco) alle 12:01 del 7 marzo 2010 ha scritto:

Bello, un bel diversivo dai Low

REBBY alle 8:03 del 19 marzo 2010 ha scritto:

Peccato, aspettative deluse. Bella la prima (Hide

it away) e basta. Arridateci i Low ...