V Video

R Recensione

7/10

Confield

Confield

Quando rallenta e tiene la voce bassa ed impostata (Shortcuts to Happiness) o quando accelera repentinamente (Big Big Bang), Gianluca Butteri, mi fa venire in mente Serj Tankian, il cantante dei System of a Down. Tutte le altre volte invece, ricorda incredibilmente Tom Smith degli Editors. Quando poi mi soffermo sulla musica di Luca Mamone (chitarra/seconda voce), Gabriele Maligno (batteria), Paolo Ferrara (chitarra), Alessandro Bennati (basso), sento prepotentemente richiamati i dettami dell’universo mondo indie pop/rock mondiale (dagli Yeah Yeah Yeahs ai The Killers, passando per Glasvegas, Interpol ed Editors, appunto).

I Confield, giovane formazione romana, sono un gruppo che, a parere mio, ha fatto della propria italianità, musicalmente parlando, un marchio da scucire assolutamente, una ragione di vita al contrario, una spinta verso il tentativo di rifuggire in tutti i modi i canoni della musica nostrana per rifarsi una verginità altrove, in particolare in nord Europa, isole comprese.

Sia questo, in termini assoluti, un bene o un male, lo lascerei alle intime valutazioni ed alle sensibilità dei singoli ascoltatori. Da parte mia mi limito a dire che Confield è un disco costruito con cura certosina ed una maestria propri di chi non vuole rifarsi, ma vuole appartenere; ad un movimento, un genere musicale, un respiro, che in questo caso è decisamente internazionale. Il rischio è, come sempre in questi casi, di perdere il contatto con la platea naturale, l’Italia, e di non venir considerati seriamente dalla platea di riferimento, il nord Europa e gli Stati Uniti. È un rischio certo, ma almeno in questo caso, non è un salto nel buio.

Perché Confield è un album solido, dove gli aneliti di indie rock internazionale, nella sua accezione più banale ed onnicomprensiva nella quale facciamo rientrare anche la “nuovissima onda” (Editors, The Maccabees), sono presenti con chirurgica meticolosità, dal cantato imponente, rigorosamente in inglese e con pronuncia assolutamente credibile, al tappeto musicale fatto da chitarre elettriche aperte in più o meno docili distorsioni, spesso “shoegazianamente” riverberate, altre volte assorbite in impalpabili arpeggi stile primo The Edge (Hidden Away, il primo singolo e Jungle Camp), da un basso vivo, pulsante e martellante, e da una batteria “fisica” ed essenziale.

Segnalo ancora Nightbus lovers, per la capacità di riprendere bene certe sensazioni dark-wave “poppeggianti” stile The Cure di Disintegration e White Ribbon, una incalzante ed intensa marcia a metà strada tra un Serj Tankian “fuori dal sistema” ed il “pazzo mondo” di Roland Orzabal.

Avessi potuto dare io un consiglio in sede di registrazione e mixaggio, avrei probabilmente suggerito degli azzardi maggiori per quanto riguarda gli effetti ed i volumi sulla voce, per renderla in alcuni punti più onirica, trasparente, impalpabile, maggiormente in sintonia con l’atmosfera evanescente che si respira un po’ in tutto l’album. Ma il destino mi ha dato il ruolo di comodo ascoltatore. Davvero un piacevolissimo ruolo se in compagnia di Confield dei Confield. Un album che mi sento vivamente di consigliare. 

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.