Bill Champlin
No Place Left To Fall
Pop rock westcoastiano è un’etichetta che, colpevolmente, ammetto di aver scoperto solo in occasione di questo disco (ma è bello sapere che quello che hai amato ha un nome). Così come è stata una sorpresa sapere che Bill Champlin è una leggenda d’underground, noto solo a pochi eletti per essere stato cantante dei Chicago negli anni ’80 (e riacquistato tra le fila della band in questo nuovo millennio).
É stato un colpo al cuore. Una sorta di reminiscenza a quella infanzia/adolescenza in cui la musica melodica era il mio pranzo e il blues la cena. Chi lo sapeva che Champlin era sparito dalla scena da 13 anni?
Insomma No Place Left To Fall si presta ad essere una piacevole scoperta per molti e una straordinaria riscoperta per alcuni. Sicuramente lo stile del lavoro è d’altri tempi, votato all’eleganza e alla sobrietà. Cede il fianco a qualche passaggio discutibile (evitabile) ma sostiene, fin dal primo ascolto, ogni critica solitamente mossa al genere di cui si fa bandiera contemporanea.
Sinceramente resta difficile spendere parole su qualcosa che ha un senso fine a sé stesso, una parentesi da regalarsi in santa pace, lontani da tutto il resto, da qualsiasi pretesa intellettuale e ormone covato.
C’è l’AOR nella sua declinazione più dolce, qualche nota blues, l’R&B nella sua accezione più classica e tanta esperienza, in quantità imbarazzante,. Ricordo bene i bifolchi metallari (a cui mi unisco in diverse circostanze) insultare la dolcezza e l’eleganza di questo genere. Sono suoni che non si vogliono imporre, niente di trascendentale, né a livello tecnico né sul piano passionale. Si limitano ad accompagnare chi ascolta in una dimensione anacronistica, quasi non ci fosse un mondo in scarse condizioni di salute al di fuori della finestra.
Una di quelle rare occasioni in cui ci si può non deprimere, non urlare, non concentrarsi e cullarsi con una musica di alta qualità (anche grazie a nobili e numerosi contributi, come quelli di Steve Lukather, Peter Cetera e Bruce Gaitsch).
La speranza è che le chitarre di The Truth e gli “occhioni da Bambi” di Never Been Afraid (pieno stile Chicago ‘80’s) riescano ad avere un minimo di riscontro anche nel 2009 (il disco è uscito a fine 2008). La prima prova da solista di Champlin lo obbliga a mostrarne altre. Perché questo disco si impone come bagaglio di esperienze raccolte in lungo e largo sulle vie della West Coast. Un’uscita quasi in sordina ignorata colpevolmente da tanti, troppi. Piacevole sorpresa scoprire che l’attenzione maggiore, in Italia, sia arrivata dall’ambiente metal, segno che i bifolchi amici miei sono minoranza!
Non sbagliamoci, non ci sono sperimentazioni e il lavoro non spazia su troppi versanti.
Ci sono varie combinazioni di alcolici, che possono piacere e ispirare grande ammirazione. Ci sono distillerie multinazionali che macinano dollari ed euro ogni sera. Ci sono strani intrugli sintetici che molto successo rivendicano ad ogni angolo del mondo “sviluppato” (la Sambuca e il Bacardi a Mogadiscio est non devono essere troppo diffuse). Poi però esiste il distillato artigianale, quello che trovi una sola volta per sbaglio in qualche osteria/taverna. Quella cosa d’altri tempi che però l’hanno preparata qualche mese fa.
Insomma il prodotto artigianale che vuole essere quello che è, niente di più.
Accendete le candele, abbassate le luci, non ragionateci troppo. Premete il tastino del “play” e lasciatevi andare.
Non ha senso mettersi a sezionare i gospel e le influenze del rock made in USA degli anni ’70. Cantautori di questo calibro, che non si vergognano della loro semplicità e puntano a fare buona musica, ce ne sono pochi in giro. Vi basti questo, per avvicinarvici con il giusto spirito.
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