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Classifica 2011 di Marco Biasio
9. Bruce Peninsula
Open Flames (Hand Drawn Dracula 2011)
L'art pop che non ti aspetti (mai). Se vi aspettate un pugno di canzonette con più strumentazione e cori che ogni tanto se ne vanno per i fatti loro, resterete davvero scioccati. La forma melodica del nuovo millennio parla per intarsi. I Bruce Peninsula ne sono i giovani, illuminati adepti.
8. The Decemberists
The King Is Dead (Capitol 2011)
I Decemberists contro tutti. Contro l'intossicazione da chitarre pesanti, contro i concept progressive, contro le canzoni dentro le canzoni. "The King Is Dead" è il loro disco più pulito e rasserenato di sempre, canzoni levigate che brillano paciose sotto il sole del Montana. Roba che chiunque, in condizioni normali, schiferebbe. Eppure, nella semplicità, i menestrelli guidati da Colin Meloy si reinventano ancora una volta. E fanno centro, pieno, undici volte. Bellezza ed onestà: niente di più.
7. Battles
Gloss Drop (Warp Records 2011)
Rischiava il patatrac, il supergruppo newyorchese orfano del genietto polistrumentista Tyondai Braxton. Rischiava, per l'appunto. Mai dare per spacciati musicisti del genere, specie se solo all'inizio di una carriera che pare ancora sfolgorante. "Gloss Drop" non è certo "Mirrored" e non raggiunge (non può raggiungere) le sue vette. Ma, rispetto all'illustre predecessore, spinge ancora più in là i paletti del coraggio, buttandosi a capofitto nella canzone. Arzigogolata, presa a schiaffi, scivolata su dissonanze e trucchi geometrici, cangiante per le mille sfumature: ma sempre di canzone si tratta. Et voilà: il gran disco è (di nuovo) servito.
6. Matana Roberts
Coin Coin Chapter One: Gens de Couleur Libres (Constellation Records 2011)
La storia dei propri antenati musicata in tappe. Quello della giovane Matana Roberts è jazz che guarda in faccia sé stesso e sceglie di rinnovarsi partendo dai propri punti di forza, senza cercare a tutti i costi l'ibrido fuori dalle proprie possibilità. Ne risulta una forma di arcaica bellezza e rinnovato movimento: la lezione dei maestri aggiornata al Ventunesimo Secolo e sfumata sulle traiettorie di una sublime intensità post rock. Coin, coin.
5. Laura Marling
A Creature I Don't Know (Virgin 2011)
Dai che ti ridai, la ragazzina al terzo tentativo ha fatto centro. Lo dicevamo da tempo ed il tempo ci ha dato ragione: Laura Marling è una fuoriclasse, di quelle che non si trovano più spesso come prima. Parlare di folk, a tratti, sembra persino riduttivo: la bravura di Laura nel tessere le fila della propria musica la sta facendo distaccare sempre di più dai padri e dalle madri putativi. Scommettiamo che il prossimo disco farà un altro passo in avanti e vedrà sbocciare compiutamente una propria, personale, indipendente forma autoriale?
4. David Lynch
Crazy Clown Time (PIAS 2011)
Chiamatelo regista, esteta, genio della psicanalisi, morboso osservatore delle tensioni interne all animo umano. Comunque la pensiate su David Lynch, non potrete piu' ignorare, da oggi, il suo lato musicale, perche' Crazy Clown Time e', sin dal titolo, perfettamente coerente con tutto il suo percorso artistico portato avanti nel corso dei decenni.
3. Mariposa
Semmai Semiplay (Trovarobato 2011)
La creatività, finalmente, al potere. Ascoltare "Semmai Semiplay" è, per citare gli Altro, fare la pace col proprio passato. Un disco che consacra finalmente i Mariposa nell'olimpo dei grandi gruppi italiani. Chi l'ha detto che le più belle canzoni pop devono per forza avere una struttura lineare? E soprattutto: ma perché canto se non ho un cazzo di voglia di cantare?
2. The Drift
Blue Hour (Temporary Residence 2011)
Perdere per sempre un proprio collega, compagno, amico, sodale crea, immagino, un buco allo stomaco ben difficile da rimarginare. C'è che preferisce il silenzio, chi impazzisce del tutto e si lancia in imbarazzanti sproloqui, chi sparisce dalla circolazione. Poi, nell'ombra, c'è anche chi lavora. E, per metabolizzare l'impatto del lutto, scrive un disco. Loro sono gli stessi Drift di "Memory Drawings", ma "Blue Hour" è un macigno che rotola sulle cicatrici della loro esperienza personale e scava a fondo, portando alla luce inquietudini, dolori, disagi. Il post rock e il jazz rock rimangono etichette: dove c'è il sentimento, si va oltre. Questo disco è bellissimo perché fa male.
1. Dead Elephant
Thanatology (Riot Season - Shove - Sangue Dischi 2011)
Se qualcuno proverà ancora a sostenere la tesi che in Italia si produce musica scadente, siete autorizzati a ridergli in faccia. La stella più brillante del Canalese noise, gruppo di punta dello Stivale ed orgoglio tricolore all'estero, dopo Zu e Teatro Degli Orrori, ritorna con un secondo disco straziante e soffertissimo, dove il bombastico noise-rock dell'esordio si cauterizza in granitico doom, sludge funereo, echi jazzati, melodie da fine del mondo, suite di lacerante passione e spasmi di violenza assassina. Sembrava davvero impossibile fare meglio di "Lowest Shared Descent" ma, come spesso accade, le impressioni rimangono tali alla prova dei fatti. Capolavoro irrinunciabile.