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10. Lorenzo Feliciati & Colin Edwin
Twinscapes (RareNoise 2014)
Stiano in secondo piano, almeno per una volta, la chitarra e la sua smania di protagonismo. Largo al basso, ma che dico!, ai due bassi, ma che dico!, alla sottile e fittissima ragnatela di suoni, riprese ed influenze che due bassi possono creare, opportunamente arrangiati, attorno a loro. Musica sciolta da vincoli e, ancora una volta, capace di emozionare.
9. The Heartbreaks
We May Yet Stand A Chance (Nusic Sounds 2014)
Altro che una possibilità: questi ragazzi, almeno su disco, si meritano l'empireo. Per come gonfiano a dismisura melodie già enfie di loro, senza tuttavia cadere nel grottesco. Per come esplicano tutte le possibilità tecniche insite nell'art pop. Per come curano la strumentazione, oltre l'armonia. Per come, per la seconda volta nell'arco di un paio d'anni, si presentino con un platter che, al netto di qualche eccesso interpretativo, è praticamente senza punti deboli. Da tenere sotto stretta, strettissima osservazione.
8. Giardini di Mirò
Rapsodia Satanica (Santeria 2014)
I Giardini di Mirò che preferiamo sono quelli che depongono velleità personali, che silenziano i microfoni, che si abbandonano del tutto alla suggestione della narrazione cinematografica. La magia de Il Fuoco è davvero stata irripetibile? Tocca stringere un patto col diavolo. Rapsodia Satanica rimusica, sopra l'impeccabile Mascagni, la pellicola storta, marcia, infetta di Nino Oxilia. Il risultato - più caldo, mediterraneo, "concreto" del solito - è ancora una volta strabiliante.
7. Athene Noctua
Others (DreaminGorilla Records 2014)
Il debutto italiano dell'anno. Come dei giovani Julie's Haircut, progenie pedemontana del Canalese Noise, jazz rock aggiornato al Nuovo Millennio. Siamo solo agli inizi, ma se il buongiorno si vede dal mattino...
6. La Piramide di Sangue
Sette (Boring Machines 2014)
Avanti popolo, alla riscossa. Il Pifferaio di Hamelin Stefano Isaia guida una banda di allucinati sciroccati, danzatori dell'est e tzigani, una big band psichedelica che passa tutto il tempo a giocare di lima con la parodia e, se serve, quando serve, ad alzare la voce. Compattezza e decisione: la strada, della percezione, è tracciata.
5. Paolo Saporiti
Paolo Saporiti (Orange Home Records 2014)
Disco dopo disco, l'esplorazione del Sé condotta da Paolo Saporiti va a braccetto con l'ampliamento progressivo dei propri confini musicali. Il songwriting di matrice inglese tracima sempre più spesso, e sempre più volentieri, in un flusso di coscienza che alterna melodie, arpeggi, stoppati, rumori di fondo, noise strumentale, arrangiamenti taglienti, barocchismi, free jazz buckleyano. Coraggioso e controcorrente sino all'ultimo. Il prossimo capitolo potrebbe lanciarlo come grande personalità del nostro tempo.
4. Guano Padano
Americana (Ipecac Recordings 2014)
L'America dei motel, degli scrittori squattrinati, dell'olio combusto, delle lost highway: l'America oscura, dei grandi silenzi e dei vuoti insopportabili, l'America della violenza virulenta ed esplosiva, del contagio; l'America della democrazia teosofica, dei diritti umani, della povertà dilagante. Gioie, dolori e contraddizioni di un continente nato ben prima del Mayflower, rappresentate in un disco che è monumentale opera musicale, crossover letterario, scrigno di sinestesie come pochi altri. Gli italianissimi Guano Padano sono un gruppo fenomenale.
3. Kayo Dot
Coffins On Io (The Flenser 2014)
Dai gorghi tremebondi di Hubardo ai non-luoghi dark wave di Coffins On Io il passo sembra smisurato. Non per il genio eclettico e polimorfico di Toby Driver, che - dopo molti anni inutilmente gettati ad inseguire forme avanguardistiche sterili e cerebrali oltre misura - si riscopre il malefico ed imprendibile folletto dei maudlin of the Well. Vale l'effetto sorpresa, ma anche (e soprattutto) un suono ad un tempo raffinatissimo, implacabile, astratto, sognante. Da provare.
2. Brimstone
Mannsverk (Karisma Records 2014)
Se il prog potesse parlare... Quanti sfregi, quante (grandi) opere inutili denuncerebbe. Ecco perché Mannsverk riesce a riconciliare con l'universo (This Is The Universe, cantano i Brimstone): perché non nasconde l'ispirazione dietro alla pompa, come uno struzzo nasconderebbe la testa sotto la sabbia, ma utilizza forme e linguaggi canonici per dare vita ad un platter fuori dal mondo. La (non) sorpresa dell'anno.
1. Motorpsycho
Behind The Sun (Stickman Records 2014)
Ad un gruppo con venticinque anni di attività sul groppone non si può chiedere granché. Ma i Motorpsycho non sono un gruppo qualsiasi: sono i tre (+ uno) bellissimi alfieri dell'Apocalisse, i paladini dell'hard rock scandinavo, i pittori di strabilianti quadri psichedelici in movimento. Vecchi indie rocker alla ricerca del prog. Behind The Sun è il disco che non ti aspetti, il colpo sotto la cintola, la stretta al cuore e lo schiaffo in pieno volto. Un pugno di melodie memorabili, canzoni da serbare con cura, riff devastanti e l'onestà di chi, per la sola passione di suonare, proprio non riesce a tradire. Un manifesto di fedeltà a sé stessi e al proprio compito che ammalia, commuove, convince.