R Recensione

9/10

Vangelis e Irene Papas

Rapsodie

Il tastierista, polistrumentista, compositore e arrangiatore greco Vangelis inizia ad incidere dischi a suo nome quando fa ancora parte del trio degli Aphrodite’s Child, i quali ottengono alcuni momenti di successo anche in Italia e che vedono in organico il cantante Demis Roussos. Il gruppo si scioglie all’inizio degli anni settanta e la carriera artistica dell’autodidatta Vangelis si esprime sino ad oggi in circa quaranta album.

In questi vi è grande spazio dedicato alle colonne sonore per film (tra le quali si citano quelle per Momenti di gloria, oscar nel 1982 e per Blade Runner), documentari, balletti. Nella discografia vi è anche musica a programma sempre per tastiere elettroniche di ogni genere, a volte costituita da due parti: una “per facciata”, come si poteva scrivere ai tempi degli LP. Come pensiero a latere non va dimenticato che Vangelis annette da sempre grande attenzione all’evoluzione tecnologica delle tastiere, potendosi permettere continui aggiornamenti nei modelli e nei suoni nuovi che i centri ricerche delle case sperimentano e mettono in commercio. Egli è pressoché sempre produttore dei suoi dischi, quindi compone e ascolta il suo stesso stile, che dà spesso l’idea di un sound semi acustico reso con strumentazione elettronica. Questo si determina con moltissime ore di prove, improvvisazioni e registrazioni anche casuali ma che alla fine, dopo una grande opera di “pulizia”, scelta e montaggio, risultano sinfonicamente interessanti.

Il suo catalogo è vasto e difforme, accomunando lavori originali e imponenti, ad altri meramente scritti per dovere contrattuale, privi di ispirazione ma carichi di mestiere. Al primo gruppo appartiene questo disco che vede la forte presenza dell’attrice e cantante Irene Papas.

Pubblicato nel 1986 (e riedito con un remixaggio, nuovi arrangiamenti e un extra-time nel 2007), ma pare già pronto nel 1982, Rapsodie trae forte ispirazione dalle musiche della liturgia della Pasqua greco ortodossa e da “traditional” della musica bizantina. Il tastierista aveva operato in una direzione simile anni prima con la stessa cantante, nell’album Odes (1979), riarrangiando brani della tradizione greca alternati a composizioni nuove. In questo lavoro, che dura circa quarantasei minuti con sette pezzi, vi è un’ambizione maggiore e viene resa, come sovente si nota nei dischi del tastierista, un’atmosfera epica. Aleggia poi per buona parte del tempo un carattere di misticismo, dovuto in buona parte all’interpretazione vocale. Vangelis presenta la funzione e la struttura della rapsodia nel suo significato originario che deriva dall’antica Grecia, resa odierna alla luce delle tastiere e di una logica attualizzazione calata al tramonto del XX secolo. I brani sono tutti cantati tranne il primo e l’omonimo strumentale.

L’album si apre con il clamore di una battaglia: suoni irruenti di spade e cavalli, urla che si incrociano, il master del volume che inizialmente segna lontananza e poi va in crescendo per dare l’idea di avvicinamento all’ascoltatore. Al sopraggiungere di un maestoso intervento orchestrale che deve dare l’idea di un inno, si odono ancora i suoni della battaglia, sopraffatti infine dal vento nel quale si perdono gli ultimi nitriti dei cavalli. Lunghe note di archi sono ora inframmezzate da esplosioni di piatti sorretti dal vento, che chiudono il pezzo. L’atmosfera di Oh my sweet springtime viene scandita da un basso e uno sfondo di tastiere che porta la voce della Papas in una lenta ballata strofica che deriva dal patrimonio religioso tradizionale. Dopo un breve brano cantato del sabato santo, che si riferisce alla parabola delle due vergini e con la voce carica di effetti, ci si introduce a Rapsodie, il secondo e ultimo strumentale. Questo ha in sé il sentore di un profondo respiro che si dissolve in un andamento ricco di arrangiamenti che portano ad un presagio poco chiaro, la sensazione è quella di un cammino in una caverna dove la luce si affievolisce, che fa terminare la facciata.

Una nuova apertura solenne introduce la voce, molto controllata, in Beauty of Your Virginity. Ora la tonalità è decisamente più chiara, il brano religioso con melismi e note tenute termina ancora con il vento, che apre un nuovo canto con versi quasi a cappella. Tastiere, timpani e altre percussioni sono presenti e quasi eccessive. La voce riprende sommessa per poi indietreggiare di fronte ad una parte strumentale lenta, un’attesa quasi consueta in questo disco, questa volta serena; il brano è un inno di tradizione dedicato alla resurrezione. Ma un incedere regolare, pacato e tetro apre l’ultimo brano (Song of Song), della durata di oltre undici minuti. Siamo al momento di maggiore partecipazione emotiva, sia per la voce sia per l’accompagnamento che è semplicissimo, una sorta di accordo percussivo.

Il protagonista totale è un recitativo altamente drammatico. Si ascoltano versi declamati in greco, come in tutto il disco. Non si comprende il significato ma la bravura di Irene Papas, l’attenzione alla registrazione, ai differenti piani sonori e il monotono accompagnamento pieno di tensione rendono tutto tragicamente bello. I rallentamenti, i respiri, le accelerazioni di una voce non bellissima ma intensa, dicono che è anzitutto un’attrice che interpreta una parte.

È come se ogni verso rappresentasse un passo verso la morte, scandito su di un secondo piano sonoro dall’accompagnamento. L’insieme ha una sua inesorabilità nella dinamica da verso a verso. Durante le pause all’ascoltatore viene da trattenere il fiato, si teme di perdere un’intonazione, un qualcosa di appena pronunciato sottovoce. Riuscire a rendere il senso della sospensione del tempo in determinati istanti è un merito del compositore, che non appesantisce le parti musicali. La chiusura dopo il recitativo è una coda strumentale, ma i suoni e gli effetti rimangono in secondo piano, come se attendessero ancora altri versi per fare loro da sfondo.

Il fascino della poesia comprende la possibilità di emozionarsi senza comprendere il linguaggio, solo con il sentimento che emana da tutta una serie di componenti comunque presenti, come l’intonazione, le altezze, le pause, l’uso sapiente dell’eco ed altri elementi grandi e piccoli che costituiscono una bella interpretazione e comunicano un senso di musica.

La bravura del tastierista in questo album risiede anche nel non essere invadente con i suoi sintetizzatori; questo risultato non è certamente scontato quanto si parla di questo artista. Sa confrontarsi e fermarsi rispetto alla voce; questa deve essere protagonista ed infatti è ampiamente sufficiente a colorare la scena sonora, grazie alle interpretazioni misurate. Anche il suono del vento gioca un ruolo non secondario, sottolineando alcuni momenti o fungendo da legante tra brani.

Con la sua già lunga esperienza e con il determinante ruolo di Irene Papas, Vangelis compone un album intenso, con poche cadute di tono, squarci di sereno e vette di drammaticità.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
REBBY 6/10

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.