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7/10

Apocalypse Lounge

Apocalypse Lounge

Sei pronto? E adesso, la domanda da cento milioni: secondo te, siamo tutti soli?

Suppongo non nel senso di astri luminosi, giusto? Ma soli come soli… Soli come soli

Con una preveggenza situazionista della cui infallibilità avremmo fatto volentieri a meno, già alle soglie della pandemia, lo scorso gennaio, avevamo pronta la colonna sonora del disastro annunciato. Merito (si fa per dire) del patron di Tannen Riccardo Orlandi (ex componente, tra gli altri, di The Rituals, Hell Demonio e De Curtis), che per festeggiare il primo decennale della propria creatura imbastisce un ensemble di notissimi artisti anonimi d’altri tempi, un reboot a sette+cinque note di Luther Blissett con uno spirito vicino al DJ Shadow di “…Endtroducing”: in poche parole essenziali, una serie di calibrati interventi esterni adagiati su un tappeto samplizzato di cut’n’paste direttamente da colonne sonore di genere degli anni ’60 e ’70, una scintillante architettura formale che – come a suo tempo celava allo sguardo dell’ascoltatore qualunque fobie, inquietudini e tensioni della propria epoca, basti pensare alla sterminata produzione library tricolore – qui avvolge come un simulacro i testi acuti e dissacranti di Giovanni Succi, braccio destro di Orlandi e paroliere principale del progetto.

Il risultato, seppur qualitativamente diseguale, tocca picchi di fascino senza precedenti, soprattutto nei frangenti in cui l’irresistibile flow di Succi non imbavaglia il comparto musicale ma, anzi, lo asseconda, lo accompagna, vi naufraga dentro, con effetti a tratti realmente destabilizzanti. È ipnotica e pulsante la pop art ingioiellata e di dolcevita intabarrata di “Funky Doom”, dove l’intonarumori succiano schiva le folate bop del sax soprano di Antonio Gallucci e gli scratch in tono di DJ Argento: e sinistra e cartoonesca la lounge noir di “Two Guys”, incastrata in un infernale loop senza fine nelle cui pieghe il solito Gallucci stride romantico. Con l’ingresso in scena della splendida voce di Francesca Amati (Comaneci) lo spettro si amplia ulteriormente: già antologico l’amaro monologo satirico di “Happy 1942” (uno dei migliori testi dell’anno), interpretato significativamente su di una spastica riduzione cool per WASP, ma la sorpresa è l’incubo al ralenti e in reverse di “Time Out”, sonorizzato dall’orchestrina al rovescio di TP3. Da fine dell’impero è, infine, il soundscape della conclusiva “I’m Going Under”, un cannabinoide trip hop insozzato di mota che oscilla sotto il peso delle rime dei superospiti Kill The Vultures e che, nella sua seconda metà, si dissolve lentamente, straziato dall’evocativa tromba con sordina davisiana di Giordano Sartoretti.

Influisce probabilmente la preconoscenza degli scopi soggiacenti al progetto, ma tutto, in “Apocalypse Lounge”, sa di decadenza e disfacimento, di postumi da orgia eliogabaliana con vista sul declino dell’occidente, di una stanchezza esistenziale che nessun sonno ristoratore è in grado di emendare. Nel rendere l’obiettivo si accumula ancora qualche lungaggine (le azzardate svisate rāga di “Let’s Sleep”: una “Moka Please” un po’ troppo verbosa, nonostante l’azzeccato featuring di Nicola Manzan al violino), ma nel complesso la traduzione è già fedele. Nota di merito (e menzione speciale) per l’accurato comparto visuale, necessario completamento di quello sonoro: se Stefano Buro firma i video d’animazione e Braulio Amado le copertine di tre singoli digitali, le fake photos dietro cui si celano i volti senza volto del collettivo sono a cura di Giulia Mazza.

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