Apocalypse Lounge
Apocalypse Lounge
Sei pronto? E adesso, la domanda da cento milioni: secondo te, siamo tutti soli?
Suppongo non nel senso di astri luminosi, giusto? Ma soli come soli Soli come soli
Con una preveggenza situazionista della cui infallibilità avremmo fatto volentieri a meno, già alle soglie della pandemia, lo scorso gennaio, avevamo pronta la colonna sonora del disastro annunciato. Merito (si fa per dire) del patron di Tannen Riccardo Orlandi (ex componente, tra gli altri, di The Rituals, Hell Demonio e De Curtis), che per festeggiare il primo decennale della propria creatura imbastisce un ensemble di notissimi artisti anonimi daltri tempi, un reboot a sette+cinque note di Luther Blissett con uno spirito vicino al DJ Shadow di Endtroducing: in poche parole essenziali, una serie di calibrati interventi esterni adagiati su un tappeto samplizzato di cutnpaste direttamente da colonne sonore di genere degli anni 60 e 70, una scintillante architettura formale che come a suo tempo celava allo sguardo dellascoltatore qualunque fobie, inquietudini e tensioni della propria epoca, basti pensare alla sterminata produzione library tricolore qui avvolge come un simulacro i testi acuti e dissacranti di Giovanni Succi, braccio destro di Orlandi e paroliere principale del progetto.
Il risultato, seppur qualitativamente diseguale, tocca picchi di fascino senza precedenti, soprattutto nei frangenti in cui lirresistibile flow di Succi non imbavaglia il comparto musicale ma, anzi, lo asseconda, lo accompagna, vi naufraga dentro, con effetti a tratti realmente destabilizzanti. È ipnotica e pulsante la pop art ingioiellata e di dolcevita intabarrata di Funky Doom, dove lintonarumori succiano schiva le folate bop del sax soprano di Antonio Gallucci e gli scratch in tono di DJ Argento: e sinistra e cartoonesca la lounge noir di Two Guys, incastrata in un infernale loop senza fine nelle cui pieghe il solito Gallucci stride romantico. Con lingresso in scena della splendida voce di Francesca Amati (Comaneci) lo spettro si amplia ulteriormente: già antologico lamaro monologo satirico di Happy 1942 (uno dei migliori testi dellanno), interpretato significativamente su di una spastica riduzione cool per WASP, ma la sorpresa è lincubo al ralenti e in reverse di Time Out, sonorizzato dallorchestrina al rovescio di TP3. Da fine dellimpero è, infine, il soundscape della conclusiva Im Going Under, un cannabinoide trip hop insozzato di mota che oscilla sotto il peso delle rime dei superospiti Kill The Vultures e che, nella sua seconda metà, si dissolve lentamente, straziato dallevocativa tromba con sordina davisiana di Giordano Sartoretti.
Influisce probabilmente la preconoscenza degli scopi soggiacenti al progetto, ma tutto, in Apocalypse Lounge, sa di decadenza e disfacimento, di postumi da orgia eliogabaliana con vista sul declino delloccidente, di una stanchezza esistenziale che nessun sonno ristoratore è in grado di emendare. Nel rendere lobiettivo si accumula ancora qualche lungaggine (le azzardate svisate rāga di Lets Sleep: una Moka Please un po troppo verbosa, nonostante lazzeccato featuring di Nicola Manzan al violino), ma nel complesso la traduzione è già fedele. Nota di merito (e menzione speciale) per laccurato comparto visuale, necessario completamento di quello sonoro: se Stefano Buro firma i video danimazione e Braulio Amado le copertine di tre singoli digitali, le fake photos dietro cui si celano i volti senza volto del collettivo sono a cura di Giulia Mazza.
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