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R Recensione

6,5/10

John Zorn

Nosferatu

Sin qui, il dispiegamento massiccio di forze. Ma come indirizzare, cosa consigliare ad un completo neofita, che mai ha sentito parlare di John Zorn in vita sua? Bene: c’è il disco grind, quello free jazz, quello d’avanguardia, l’exotica, il surf sparagnino, i game pieces, gli ensemble hard rock, la rivisitazione del klezmer, i pastiche elettronici, le orchestre d’archi, il noise, Masada, i Naked City, i Book Of Angels… Stop, stop. Da “un” consiglio si è passati, naturalmente, inevitabilmente, alla solita lista della spesa. Eccessiva solerzia, ipersensibilità da fan(atico) che tutto vuol comprendere con un solo colpo d’occhio. Ad un certo punto uno può, legittimo pensarlo, semplicemente rompersi le palle e piantare a metà le buone intenzioni. Serve qualcosa di più. Quale sintesi? Quale disco – possibilmente dotato d’anima – che di differenti anime, generatesi nel corso degli anni, sia vero e proprio ricettacolo? In altri termini: che lavoro far sentire per rendere giustizia alla multiforme fonte di ispirazione che ha guidato, e guida ancora, l’onnivora ricerca musicale di John Zorn?

Nosferatu” supplisce, per certi versi, proprio a questa strana, curiosa mancanza. In occasione dei festeggiamenti per il centenario della morte di Bram Stoker, il celebre novelliere il cui Dracula è stato capostipite di un lungo filone letterario di horror gotici a sfondo vampiresco, una compagnia teatrale polacca ha deciso di riscrivere sul palco, alla luce della moderna sensibilità dei primi anni ’10, il capolavoro del romanziere, affidando al compositore newyorchese, e ad una cricca di fedeli musicisti amici stranamente ristretta, il compito di abbinare temi fedeli, sino in fondo, all’intercalare di mood e atmosfere proprie della fiorita scrittura di Stoker. Ciò che nasce è, dunque, per certi versi, una colonna sonora, di lunghezza insolita (si arriva, ridendo e scherzando, a superare l’ora) ma, soprattutto, un disco estremamente eclettico e polimorfo, godibilissimo all’ascolto ed oculatamente ragionato, nella composizione e nella cura al dettaglio, per pervenire ad una summa musicale dello Zorn-pensiero del Nuovo Millennio. Moltissimi sono i momenti ambientali, sovente di spessore dark e buona forza evocativa (“Desolate Landscape”, l’inquietudine di “Sinstera”, il sax romantico e crepuscolare di Zorn a duettare col basso effettato di Bill Laswell in “Fatal Sunrise”, la tensione spiraliforme di “Hypnosis” – vedesi alla voce “Morricone argentiano” –, i sospiri e i tintinnii delle lievi distonie della title-track, recupero della plumbea sconnessione di “Nova Express” in chiave esoterica), che si alternano a sprazzi di furore noise-jazz (i Moonchild rinnegati, tra strepiti elettrici e klezmer distorto, di “The Battle Of Good And Evil”), trame pianistiche di pregevole fattura (in “Jonathan Harker” il gusto della progressione sembra quello di Uri Caine, ma a suonare è in realtà Rob Burger), i piccoli blocchi armonici per piano e vibrafono, cangianti e cristallini, di “The Gnostic Preludes” (“Mina”), il sinistro minimalismo di “The Undead”, la quieta e stupenda melanconia di “Renfield”, una meravigliosa gemma di melodia romance come “Lucy” incastrata in mezzo alla scaletta con, in più, il curioso esperimento di “The Stalking”, lunghe volute psichedeliche per organetto, sax in delay ed una ritmica insistita che, manco a dirlo, viene abilmente sovraesposta nelle sue strutture puramente dub in una reprise finale (“Stalker Dub”).

Scivola via che è un piacere, “Nosferatu”, ed ogni ascolto è gratificato dalla buona tenuta complessiva del platter. Consigliatissimo per chi, come detto, vuole iniziare a conoscere il mondo di Zorn, partendo col piede giusto e senza troppe difficoltà. Per chi già sa, seppur gradevole, sostanzialmente nulla di nuovo.

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Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 1 voto.
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