Massimo Martellotta
One Man Sessions, Volume 3: One Man Orchestra
Per il capitolo centrale della propria personale epopea musicale in cinque atti, One Man Sessions, lindividuo polistrumentista Massimo Martellotta si dissolve nellapparente molteplicità di unorchestra contemporanea, un bizzarro ibrido tra le ariose big band degli anni 50 e legocentrismo delle sovraincisioni digitali (con il computer, impiegato attivamente nella simulazione e nella riproduzione di timbri e suoni, a porsi come ideale trait dunion fra i due approcci). Il passo in avanti è affascinante e inconsueto, ma decisamente impegnativo, sia a livello concettuale che di composizione: non casualmente, infatti, è il primo volume in cui laspetto improvvisativo cede completamente il passo alla scrittura a monte, in cui ogni dettaglio estetico, strumentale, atmosferico è pianificato in anticipo. Questo controllo totalizzante innesca due dirette conseguenze. La prima, positiva, è una cura del prodotto anche superiore ai capitoli precedenti. La seconda, negativa, è una certa perdita di spontaneità che si riflette, de facto, sulla scorrevolezza del materiale proposto.
Duplice è anche la manifestazione concreta del filone orchestrale qui indagato da Martellotta. Sul primo versante spicca un gruppetto di brevi composizioni dal carattere marcatamente ludico. Intrigante, ad esempio, lapertura sinestetica affidata a Il Cappotto, microsinfonia tra Stravinskij e Grieg con un certo afflato epico che prorompe impettito nel finale (poi rivisitato nello sbarazzino swing di Senza Zucchero, come il Piccioni pop art di fine anni 60 o il Tariverdiev di Do svidanija, malčiki!): onomatopeico e zigzagante il passo circense di una Baruffa colorata a mo di Stalling; romantica e ariosa la Serenata Per Adulteri che, a metà strada, si inabissa in una lounge notturna per piano, Moog e contrabbasso. Ad esse più per enumerazione di similitudini che per effettiva vicinanza, va detto si può accomunare anche larrangiamento fiabesco del bel valzer pianistico Come Una Favola, un pezzo con ogni probabilità avanzato a Unprepared Piano e qui leggermente fuori contesto. Il secondo versante è invece monopolizzato da una serie di esplorazioni strumentali dal tessuto decisamente più frammentato e, complessivamente, meno avvincente: coerente è il crescendo drammatico degli archi di Presa Di Coscienza e felice la ripresa del Morricone free in Attesa Notturna, ma decisamente troppo lunga e faticosa è Oppio fra i gialli italiani anni 70 e certe roboanti astrazioni di Hans Zimmer ed eccessivamente voluminoso larrangiamento che nasconde alludito il tema di piano di Reale Immaginario.
Leggermente inferiore ai due capitoli precedenti, ma nondimeno impressionante nel testimoniare la vitalità e la versatilità artistica assoluta del suo factotum. Il passo successivo? Un nome, una garanzia: Underwater.
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