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R Recensione

6/10

Torso Virile Colossale

Vol. I - Che Gli Dèi Ti Proteggano

Sarà pure abusato affermare che l’aneddotica fa la recensione, eppure. Con la scusa che si stava meglio quando si stava peggio ci hanno preso davvero tutto (parafrasando Max Collini), suonandoci sopra di più (aggiungiamo noi): commedie di costume, neorealismo, poliziottesco, sci-fi, horror d’antan, slasher, giallo, gotico, erotico, psicotico, Renato Polselli (che fa genere a sé). Tutto è diventato fantastico in quanto rifratto, tramandato, “dicono che…”, “eh, ma una volta…”. E poi il peplum. Voglio dire: il peplum. Lo spada e sandalo. Ercole, Maciste, Atlante, Ulisse, addirittura Ator l’invincibile! Supereroi tutti uguali e tutti d’un pezzo, exempla di fierezza classica, bicipiti gonfi e pupe con-turbanti: altro che Avengers! Magari ricordarseli: “eh, ma una volta…”, “dicono che…”. Finché qualcuno non prende la questione di petto (è il caso di dirlo): un qualcuno invero un po’ particolare, perché mai si direbbe che l’artista raffinato per eccellenza, Alessandro Grazian, sia un viscerale appassionato dei caserecci kolossal – si fa per dire – di Pietro Francisci e Giorgio Capitani. E invece.

Torso Virile Colossale, dunque, colonna sonora di uno o più peplum mai filmati (ma facilmente immaginabili) o stereotipo in pectore di peplum senza bisogno aggiuntivo di immagini. Ecco, per quanto il parere di chi scrive poco conti, se dovessi imbarcarmi al buio in un progetto assurdo come questo lo immaginerei esattamente così: suoni possenti, contrappunti robusti, rifiniture celestiali, qualche speziatura d’incenso a giustificare il trapasso del confine dall’Ellade civilizzata verso l’arcano d’Oriente (qui con la geografia ci fermiamo, onde evitare di incorrere nelle ire di chi queste cose le maneggia per mestiere). Il fatto che le dodici, succinte tracce di “Vol. I – Che Gli Dèi Ti Proteggano” rispettino nel dettaglio le previsioni è indice di due fattori: il rispetto filologico e quasi sacrale che Grazian ha mantenuto nei confronti delle sue fonti d’ispirazione e, per converso, l’impossibilità di svicolare anche solo limitatamente dall’immaginario di riferimento. Originale lo è, suonato ottimamente pure – tra i collaboratori, non a caso, c’è gente come Mario Arcari, Nicola Manzan, Francesco Chimenti e la Prima Arpa della Scala Olga Mazzia – ma, sfortunatamente, i motivi di reale interesse non sono poi infiniti – segno che, forse, non tutto può essere davvero rivangato senza effetti collaterali.

Un inquadramento critico meno generalizzato ci porta a dire che, laddove Grazian costeggia più da vicino la library exotica (le bolle d’organo sospese fra trine d’arpa di “Le Calde Notti Della Regina Di Lidia” sembrano un curioso incrocio fra Umiliani e Nino Rota, senza mai perdere di vista quel sottotesto epico che emerge alla distanza), evoca con gran pompa cinematografica insostenibili arsure (“La Galea”) e si pasce di psichedelia plunderfonica (“Le Vestali”, gli astratti arabeschi Lilacs & Champagne rivestiti di orchestrazioni della seconda metà di “L’Oracolo Italico”), il disco funziona assai meglio rispetto ad episodi più canonici (la fierezza Titanus di “Fedeli Alla Flaminia”, la didascalica “Marcia Virile”) e, soprattutto, rispetto ai frangenti in cui la heavyness si fa metaforico e metamusicale simbolo di possenza (i glissando di ottoni de “La Lotta”), epica narrazione in pompa magna (“Ciclopico”) o trogloditica esibizione di muscoli (“Macigno” è decisamente fuori contesto): motivo per cui, se Torso Virile Colossale dovesse rivelarsi un cantiere sulla lunga distanza, sarebbe interessante provare a dare ulteriore continuità agli spunti meno convenzionali.

Curiosità: sebbene le prime idee risalgano addirittura al 2008, il progetto viene alla luce, molto più recentemente, come serie di podcast curati dallo stesso Grazian per Radio Daevid, creatura di casa Trovarobato. Tecnologia all’ombra dell’omphalos. È proprio vero: non ci sono più i Miles (Gloriosus?) O’Keeffe di una volta… 

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