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R Recensione

6,5/10

drcarlsonalbion

Gold O.S.T.

Se con l’ultimo, recente “Primitive And Deadly” gli Earth sembrano aver abbandonato la leziosa staticità drone di prove del tutto inconcludenti come “Angels Of Darkness, Demons Of Light 2”, anteponendole una forma evoluta e altamente cinematica di gothic doom, è con il side project solista drcarlsonalbion che il mentore della band, Dylan Carlson, gioca a dipingere l’America perduta delle ghost towns, delle frontiere immaginarie, dell’egotismo sublime stinto nei paesaggi sconfinati del continente. L’occasione perfetta per esibire un talento strumentale fuori dal comune, descrittivo e minuzioso come pochi altri (o forse nessuno), è la colonna sonora in ventiquattro frammenti realizzata per il western di sostanza di Thomas Arslan, “Gold”, che racconta le peripezie di uno sparuto capannello di emigranti tedeschi contagiati dalla febbre dell’oro negli Stati Uniti di fine XIX secolo.

È “Part XXIV”, un blues per cuori solitari trasfigurato da troppo riverbero e da una sequenza inaffondabile di accordi aperti in maggiore (sempre gli stessi, sempre vincenti), a far comprendere pienamente la natura del progetto: musica astratta ed impercettibile per spazi sconfinati ed indomabili. Mai una volta Carlson fa sfilare di nero vestita la sua sei corde, sebbene le incursioni più succinte (e certe ombreggiature peculiari di semitoni, come nella “Part XI”, o la piega inaspettata, vagamente distonica, che “Part XIX” prende oltrepassata la propria metà) lo permettano e, anzi, lo incoraggino. Non si pensi tuttavia ad un suono solare, che sin dalle ampie reticenze di “Part I” (il southern svuotato di ogni materialità) la sensazione che prevale è piuttosto quella di un non-luogo, come tale neutro e non diversamente etichettabile. È una contemplazione estatica la cui sintassi, ricorsiva, chomskiana, si inabissa a tratti (“Part V”, “Part XVI”, “Part XXI”), per riemergere, poi, arricchita di nuovi particolari (le slide eteree di “Part VII”) e riprogrammata per poter suonare all’infinito uguale a sé stessa, alla ricerca del chiavistello melodico solo assaggiato e mai pienamente afferrato (“Part XXIII”).

Fatta salva l’inevitabile maniera che aggiusta la rozza in corso, davvero un’ottima prova.

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