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R Recensione

6,5/10

Ronin

Stalingrad [EP]

“Stile” è ciò che rende omogeneo e immediatamente riconoscibile ogni progetto cui mette mano Bruno Dorella. “Metodo” è l’anello della catena che li lega saldamente fra di loro. So goes our story. “Stalingrad” (12” in trecento copie numerate, di cui le prime cento in vinile viola porpora) è, per i Ronin, l’appendice del riuscito “Adagio Furioso” di fine 2014, disco forse meno completo dell’apice “Fenice” (2012) ma, d’altro canto, destinato a crescere inesorabilmente nel tempo. Non lo si consideri un vezzo: vezzo non era, per gli OvO,  l’“Averno / Oblio” (2014) figlio delle session di “Abisso” (2013: ma attenzione, circola già un altro split a tiratura limitata coi Cagna Schiumante), né “Festivalbug” per i Bachi Da Pietra di “Quintale” (entrambi del 2013). È un modo come un altro di esaurire i solchi del proprio percorso, mettere un punto a capo per una nuova fase, avere una buona occasione per riprendere a suonare in tour e, certo, monetizzare la passione dei collezionisti. Darebbe fastidio, tale iperproduttività, se portasse ad inconcludenza. Dietro il generale-Zeus con villaggio-Atena incastonato nel cervello (splendido il tratto seppia di Rocco Lombardi, lo stesso della copertina di “Adagio Furioso”) si celano, in verità, brani che avrebbero meritato ben altra sorte.

La title track, ad esempio, è una fra le perle più luminose del songbook dei Ronin, il punto di incontro tra gli iniziali intarsi bossanova delle chitarre (sopraffina l’elaborazione melodica, superba l’esecuzione: viene il dubbio che, tra uno squat e l’altro, a Dorella piacesse molto il math-emo americano degli anni ’90) e una seconda parte di toccata e fuga in sfumare, moduli aulici applicati ad un post rock non privo di infiltrazioni mystery crime (pare strano immaginarci sopra Claudio Simonetti, ma solo per chi non ha ascoltato il brano). Il disfacimento distonico cui va incontro il valzer immacolato di “Altroquando” è, in questo senso, decisamente più essenziale e pragmatico, anche se meno interessante: l’alt take di “Catfish” accentua la propria dimensione jazz, ma chi scrive continua a preferire l’arrangiamento ombroso della versione “ufficiale” di “Adagio Furioso”.

Raccomandiamo caldamente l’ascolto: si tratta, in fondo, di una dozzina di minuti. Chi non dovesse comunque ritenerlo indispensabile, e ha già metabolizzato pienamente il “Necroide” dei Bachi Da Pietra, si prepari al prossimo cambio di scena (tocca di nuovo agli OvO?).

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