Four Tet
Sixteen Oceans
Come, o meglio, cosa dovrebbe essere un album di musica elettronica di inizio decade in questo nuovo e strano periodo che stiamo affrontando?
Ho letto di alcune critiche al nuovo, smagliante album di Four Tet. Certo, in fondo è un collage di brani e composizioni ottenute dal padroneggiamento estremo di Ableton: nulla di nuovo sotto il sole, tecnicamente parlando.
Eppure chi vi scrive non riesce a rimuovere dalla mente un pensiero ricorrente, ossia quello che le macchine abbiano un suono soul. Un qualcosa di più che parla direttamente allanima, un sound - per così dire - umano. Questo già ce lo avevano insegnato molti precursori, a partire dagli illustri Daft Punk (RAM, ma si vedano molti altri lavori precedenti), Aphex Twin e perfino Jeff Mills.
Nellepisodico svolgersi di questo doppio scintillante LP, veniamo guidati dal nostro in un viaggio che non ha eguali ad oggi nel suo percorso. Kieran Hebden ci fa viaggiare con la mente e con il cuore; le prime quattro tracce sono connesse tra loro come non mai, in una commistione di UK garage reminiscente dei suoi primi lavori a stretto contatto con Burial (Baby, cfr. Moth, con la collaborazione vocale nientemeno che di Ellie Goulding), breakbeat e ancora house onirica, downtempo, in un soundscape eclettico e vibrante; le corde creano un paesaggio magico, nebuloso, pieno di energia e che letteralmente eleva lo spirito e purifica lanima - un lavoro quasi meditativo, mantrico e sciamanico per certi versi, dallinizio alla fine.
Credo che questi tratti rappresentino la quintessenza del perché Hebden resti così amato dal pubblico, ad anni di distanza dal suo esordio, nonostante tutto. A parte lessere stato un innovatore nella maniera in cui ha proposto i suoi live set - andate a recuperare alcuni suoi spezzoni tratti dai video ufficiali dei singoli dellalbum in questione o dalle Boiler Room più recenti per farvi unidea di ciò che intendo - che suonano quanto mai nostalgici e lustrali in questo periodo di lockdown forzato - gli va riconosciuto il merito di aver riportato in auge un genere che ha influenzato lelettronica dellultimo decennio in maniera profonda, il future garage, e questalbum suona nel complesso più completo e maturo dei suoi precedenti lavori, strizzando locchio addirittura al sound IDM (Harpsichord) dei seminali Boards of Canada.
Dopo Insect Near Piha Beach iniziano ad esserci un po troppi - e forse trascurabili - interludi, mentre svettano ancora le tracce più lunghe, come Something In The Sadness e Green.
La parte finale di questo album è invece la più curiosa: inizialmente tentato dal valutarla negativamente, ad un numero maggiore di ascolti si rivela originale tanto quanto la parte iniziale, ancorata troppo ad un ricordo dei dancefloor nei tempi che furono. Più calme, meditative e ambient, le ultime quattro tracce risultano un incastro perfetto con le prime quattro in una logica di eterno ritorno che è riconducibile a Morning/Evening e strizza locchio al suo precedente New Energy. 4T Recordings e Mama Teaches Sanskrit sembrano delle istantanee melanconiche e sbiadite della frenesia del mondo che era - o della calma di quello che verrà.
Forse i sedici oceani avrebbero potuto essere ridotti ad un numero inferiore, ci si chiede; nella versione fisica di doppio LP, cè un intero lato del disco che è composto solamente da locked grooves, ossia una raccolta di sample della durata di qualche decina di secondi (forse scartati? O utilizzati comunque in alcuni punti del disco, o che saranno usati in futuro ) che certamente rappresentano unaggiunta piacevole e sperimentale allopera.
Sembrano lontani i tempi in cui il contributo di Four Tet si limitava al remixare qualche traccia in un esercizio di maniera kitsch e banale - Afraid di Nelly Furtado, Kiss It Better di Rihanna (di cui Kaytranada ci regala un remix decisamente più interessante) o la noiosa e boriosa Question, che ha spopolato al Dekmantel e il cui vinile gira in rete a prezzi stellari; e - ahimè - sono ugualmente lontani i tempi delle grandi collaborazioni con Burial (questultimo ormai diventato lombra di se stesso) come Nova e Moth. Sembra di assistere alla parabola di un artista che raggiunge lo zenith, il nadir e compie una rivoluzione completa della propria visione e carriera artistica.
Kieran Hebden dipinge qui una palette atmosferica che potrà scuotere o meno alcune corde dentro di voi, senza ombra di dubbio ancora imperfetta, ma che sicuramente coglie nel segno ed è un punto di svolta nel suo percorso artistico: soltanto il futuro potrà dirci se sceglierà di rimanere un dj, producer e remixer orientato ai club e grandi festival o se abbraccerà il suo lato più elettroacustico e di landscape sonoro.
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