R Recensione

5/10

øjeRum

Stilhedens Strømmen I Fuglenes Blod

Da un po’ di tempo a questa parte il misterioso compositore e visual artist danese Paw Grabowski, alias øjeRum, sta rimettendo mano ad alcune delle numerose opere autoprodotte negli anni passati. Senza tenere conto, per ovvi motivi di spazio e tempo, della fluviale produzione che ha caratterizzato l’anno scorso, ci rivolgiamo a quello corrente. Uscito originariamente nel 2016, in una cassettina carbonara in trenta copie rigorosamente realizzate a mano, “Stilhedens Strømmen I Fuglenes Blod” segue di circa un mese il 10” “Vindens Segl” per Champion Version (un manifesto neoclassico sufficientemente solido), fungendo da trait d’union per la prossima release di “Selv I Drømme Lyser Den Første Sne” (una composizione di venti minuti in due diverse versioni). Simbolo e metafora pregnante dell’oggetto in esame è il packaging in cui viene contenuto l’oggetto fisico: un cartoncino spartano nella materialità ma elaboratissimo nella costituzione, un complicato gioco ad incastri che cela fino all’ultimo il suo intimo segreto – tant’è che, ad un certo punto, quasi ci si aspetterebbe di trovare ben altro da un “semplice” cd. Introspezione, elitarismo, ermetismo, formalità? Probabilmente tutte queste cose assieme.

Ci troviamo di fronte, invece, una suite acustica di mezz’ora, un inestricabile flusso di suono in cui i confini tra folktronica, field recordings plunderfonici, ambient e musica da camera sfumano impercettibilmente l’uno nell’altro. La chitarra viene appena pizzicata, alla maniera di un Jandek romantico costretto a suonare in slow motion: gli arpeggi sono regolari, monotoni, sempre uguali a loro stessi. I labili contrappunti armonici occasionalmente forniti dalla strumentazione di contorno innestano nella litania mesmerizzante melismi di malinconia caduca ed iperespressiva, come se il Michał Jacaszek funebre di “Treny” rimanesse vittima delle proprie meditazioni. La lezione del minimalismo si riflette anche nel cangiare impercettibile dei toni, rarefatti e trasognati fino alla comparsa e alla sovrapposizione, negli ultimi cinque minuti, di più massicci drone dark ambient. Nel mezzo il nulla, o quasi: nessuna tensione, nessun contrasto, nessuna evoluzione, nessuna dinamica. Stasi e contemplazione. Musica, e solo musica: un microcosmo che riflette e fagocita sé stesso, recidendo di netto ogni canale con l’esterno.

È un’ammirevole dichiarazione di egocentrica indipendenza o, se si vuole, l’affermazione di un modo di vivere e sentire le cose orgogliosamente soggettivo, una reazione pacata ma decisa al globalismo delle interconnessioni a tutti i costi. Peccato solo che di dischi così il mercato sia letteralmente inondato: e che questo, obiettivamente, non abbia nulla per farsi ricordare. Discreta l’intenzione, mediocre la realizzazione, ma c’è chi comunque apprezza (e apprezzerà): al momento di licenziare la recensione, sono già andate esaurite due distinte ristampe per KrysaliSound.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.